mercoledì 25 maggio 2011

Alcune suggestioni ed emergenze immaginali di un fine settimana di maggio nel Monferrato

 By Fabio Botto

“Le immagini sono ‘interne’, ‘arcaiche’, ‘primordiali’; la loro fonte ultima è negli archetipi, e a noi si mostrano nel modo più caratteristico nella formulazione del mito. La coscienza che nasce da Anima guarderebbe dunque al mito, quale si manifesta nei mitologemi dei sogni e delle fantasie e nel disegno delle varie vite; laddove la coscienza dell’Io deriva i suoi orientamenti dai letteralismi delle sue prospettive, cioè da quella particolare fantasia che essa chiama ‘realtà’. Poiché le immagini fantastiche forniscono il fondamento della coscienza, a esse ci rivolgiamo per capire le cose a fondo. ‘Diventare consci’ significherebbe ora diventare consapevoli delle fantasie e riconoscerle dovunque e non solamente in un ‘mondo fantastico’ distinto e separato dalla ‘realtà’”.
James Hillman, Anima. Anatomia di una nozione personificata (1985), Adelphi, Milano, 1989, p. 125



Pomeriggio di sabato 14 maggio 2011
Mi è sembrato bello, e in qualche modo persino urgente per ognuno di noi, dare la stura al nostro week-end immaginale con una preliminare condivisione del racconto del nostro personale incontro con il Mundus imaginalis. Dopo qualche prevedibile esitazione da parte di ognuno di noi, Rachele ha rotto ogni indugio e ha messo in relazione il suo contatto con l’immaginale con il tema, che le è particolarmente caro, del corpo e quello dell’esperienza mistica. Stefania ci ha parlato della sua attenzione e della cura che ha sempre prestato per la propria vita onirica e per i simbolismi legati al ciclo mestruale e lunare. Nell’esperienza immaginale, occorre sempre mettere in conto l’eventualità di non sapere fino infondo “che cosa mi porto a casa”. Senza esitare, Mario ha ricondotto il suo incontro con lo sguardo immaginale alla grande passione per il cinema, e in modo particolare a una pellicola (e a un regista) da me molto amato, che è Per un pugno di dollari di Sergio Leone. Decisivo è anche il rapporto tra l’immaginale, l’immaginazione e il desiderio, tema centrale, fonte di ulteriori approfondimenti. Dania ha invece condiviso con il gruppo il nesso, che ben presto le si è palesato nella sua esperienza professionale di psicoterapeuta, tra i disturbi psichici, e in particolare con la follia, con il profondo simbolismo a essa sotteso. Rispondendo a Stefania, non è così importante “portare a casa” qualcosa dell’esperienza immaginale. Secondo Vito, nel nostro tentativo di ricostruire il nostro primo incontro con l’immaginale si evidenzia un elemento random, che tuttavia non vanifica ma forse rende più interessante il nostro desiderio di oltrepassare i limiti di un approccio soltanto di tipo “mentale” o libresco con il mondo immaginale. Particolarmente intenso l’intervento di Paolo, che intravvede una difficoltà di fondo nel ricostruire l’“inizio dell’incontro” con l’immaginale. All’inizio, ciò che in sèguito si è definito come Mundus imaginalis era per lui fonte di inquitudine e di paura. Decisivo si è rivelato l’incontro con i Ricordi, sogni, riflessioni di Carl Gustav Jung. Paura dell’immaginazione come paura della follia. La scrittura come rito per rendere praticabile la convivenza con l’immaginazione. Un sovrappiù di emozione di cui, per lo più, la nostra cultura non sa che farsene. Anche per Paolo, resta centrale il nesso immaginale-follia-scissione. In alcune discipline orientali di meditazione, per esempio la scuola di Jiddu Krishnamurti, l’immaginazione viene in qualche modo “esorcizzata”. Rapporto tra spiritualità ed esperienza immaginale. In agguato, come già Vito ha rilevato, c’è sempr eil rischio concreto della “mentalizzazione” dell’immaginale. rimane sempr euno sfondo di perplessità quandi ci si accosta al nesso tra l’immaginale e le sue possibili concretizzazioni. Altro tema ricco è quello del rapporto Eros/immaginale. A volte si ha l’impressione che, verso la conclusione dell’esercizio immaginale, il momento della restituzione rimanga sempre troppo mentale, astratto. Qualcosa della “corposità” delle immagini simboliche in esso sembra andare perduto. Per Lorenza, al di là di altri parametri, l’esperienza immaginale dimostra tutta la sua potenza nel rifocalizzare la nostra attenzione assopita sulle immagini. Il discorso immaginale è intrisecamente difficile, qualora rimanga soltanto un discorso. Fabio. Fondamentale per me è stato l’incontro tra l’immaginale e “gli effluvi della natura”, tipici del paesaggio ligure della mia infazia e adolescenza. L’immaginale si è in me ben presto ibridato con il mitico (Omero, i supereroi Marvel). Elemento catalizzatore fondamentale è stata la musica. All’inizio il rock progressive (Pink Floyd, Genesis, David Sylvian), poi il jazz e la fusion (Bill Evans, Miles Davis, Wayne Shorter).

Mattina di domenica 15 maggio 2011
Abbiamo proceduto alla condivisione, alla circolazione e alla restituzione dell’esperienza, fatta la sera prima, della visione del lungometraggio di Philip Kaufman, L’insostenibile leggerezza dell’essere (1988), tratto dall’omonimo romanzo di Milan Kundera. Il seguente resoconto, che non pretende in alcun modo di essere esaustivo, vorrebbe restituire almeno in parte l’idea della straordinaria emergenza di immagini, collegamenti, nessi, sincronicità, che la visione della pellicola ha provocato in tutti i partecipanti alla visione.
Dania. Specchi rotti, ovali, letti, cappelli, piscine, il numero 6, libri, tanti libri; Kerenin, il nome del cane di Tereza e Tomáš; la marca della macchina fotografica Practica. Corpi nudi, corpo come strumento musicale.
Lorenza. Carri armati, mezzi pesanti, la folla, la gente attonita, ribelle, una donna che fotografa, un uomo che cambia lavoro, penetra nelle case di altre donne.
Paolo. Corpi nudi di donna (pochi nudi di uomo), corpi singoli o ammucchiati, l’occhio del medico che guarda i corpi nudi dall’alto (posizione di potere), gli occhi della protagonista che piangono (mentre fotografa); movimento verso Occidente (fuga); movimento verso Oriente (sconfitta della donna che non è riuscita a conquistare il suo uomo). Quando Tomáš torna a Praga è solo. Il ritorno in campagna è una regressione verso le origini, alla terra. L’unica immagine di armonia è quella finale, dove Tomáš e Tereza sorridono entrambi; “leggerezza” come libertà interiore.
Rachele. Uomini e donne che fanno l’amore, confusione, giovani che discutono tra di loro, vestiti colorati in contrapposizione a uomini in grigio, tanti animali (porcellino, poi diventato adulto) un cane che accompagna una relazione (matrimonio), fino alla sua morte; natura, strade in mezzo agli alberi, uomini che lavorano in campagna, gente che lavora, differenti professioni, un’automobile Skoda azzurra, una pistola, tanta acqua; l’acqua in situazioni opposte: nel fiume, nel lago a Zurigo, le molte scale della città.
Stefania. Piante rigogliose in campagna, giovane donna che si tuffa in piscina, che fa interrompere la partita a scacchi degli uomini anziani in acqua; contrapposizione delle immagini di città alle immagini della campagna (contrapposizione grigio/verde); la vita di coppia in campagna è più serena; Sabina nell’ultima scena del film; contrasto di ambienti e dei volti dei personaggi; i vetri, il parabrezza, gocce d’acqua sui vetri, immagini filtrate attraverso le gocce d’acqua; fusione erotica come ritorno nell’indifferenziato, non un vero incontro di due corpi.
Mario. I corpi nudi, corpi desideranti, oppressivi, gli occhi molto diversi (lo sguardo intenso e magnetico di Tomáš, la sua “leggerezza”); gli occhi di Tereza, occhi della pesantezza; gli occhi di Sabina, anche qui la leggerezza. Tomáš è in bilico. Corpi/porci/fedeltà/godimento; l’unione dei corpi (l’altro non ti appartiene mai, la sua mente non ti appartiene…).
Lorenza: La città è grigia, piena di ombre.
Vito: Tomáš sceglie di tornare non perché non può farne a meno, ma perché guidato dalla sua “leggerezza”. La stessa leggerezza con egli cui sceglie di cambiare mestire.


lunedì 23 maggio 2011

I colori del suono, per uscire dal sonno, e rientrare nel sogno.

Che cosa spinge un gruppo di balordi tarati sull'immaginale a ipotizzare una ri-creazione sul colore del suono, tra settembre e ottobre, mesi preziosi per restituire il daimon alle sue ipnotiche braci intorno a un paesaggio agreste, o metropolitano? O, visto che ci siamo, a Tallin, capitale quest'anno della cultura europea? Ma potrebbe andar bene anche Mendrisio, cittadina accogliente in terra elvetica e patria di Mario Botta, di cui si potrebbe analizzare qualche progetto architettonico (la sede di architettura è proprio nella sua città natale) per risintonizzarla sulle linee del diurno o del notturno durandiano? Idea nata l'altra notte mentre leggevo un libro a dir poco straodinario non tanto per l'autore che si firma con un anomimo (anche se negli ambienti portoghesi si sa che è uno scrittore emergente ma dalla potenza espressiva notevole) quanto per il tema e il personaggio trattato: S, il Nobel privato. S è Josè Saramago, uno che con la scrittura andava a nozze, ma con le donne proprio non ci prendeva, e allora tutto questo tema tra desiderio del corpo, immaginazione ( lui che osserva le onde del mare pensando alla giovane moglie che se la gode con i maschi del posto e torna all'alba), opera, lo scarto tra la parola e la seduzione, tra l'atto e la sua sublimazione ( per favore niente Freud, ci ha già pensato Michel Onfray nel suo ultimo saggio), non potrebbe darci qualche spunto per una colazione sull'erba in edizione limitata, e numerata? Magari associando il suono a qualche riproduzione ( bellissima e stratosferica: mi riferisco al Libro Rosso di Jung) dove far convergere archetipi e labirinti alla Peter Greenaway? Con un colpo di spada, alcuni si sono persi per strada, ma il drappello di ussari bicocchiani è rimasto fedele a presidiare non solo le opere e a estromettere se stessi per meglio ritrovarsi ( guardatevi il videoclip "Trouble" dei Coldplay), ma soprattutto ha imparato a sospendere il giudizio come azzeramento dell'io per volare sopra e sotto il design e completare le sedute con assoli d'essemble che fanno atmosfera e lasciano il segno, sulla pelle, e nella mente. E questa voglia di ritrovarsi, questa esuberante passione di riallestire la scena per tenere vivi i rapporti ( una sorta di massaggio sensuale dove il tocco pizzica le corde del cuore) e sbloccarli dai quadrati impenetrabili del versante quotidiano, non rappresenta una mimesi che non ha nulla di esoterico, ma getta sul tavolo formule di desiderio senza che i dadi siano truccati? Ci muoviamo come grissini sui tasti del pianoforte, diamo fondo alle emozioni di contro alle mozioni dell'idiozia planetaria. In questa creazione di topologie improvvisate dove c'è sempre spazio per meditazioni e riflessioni che vengono a galla, nemmeno fosse Nettuno a sospingerci fuori dai fondali, l'angolo più nascosto diviene, come d'incanto, un memoriale di sequenze variabili e narrabili, una nervatura che si lascia i nodi alle spalle per meglio tessere trame mercuriali con spezie dionisiache, perchè dopotutto, non raccontiamoci balle, a muovere il mondo, a scrivere, ad educare, a saper bene trasmettere conoscenze, a creare, a vivere, c'è solo un farmaco che non si compra in farmacia, ma non si compra nemmeno altrove ( a meno di non confonderlo con il sesso che scivola poi, inesorabilmente verso il freddo), e questa cosa si chiama Amore. Niente forzature, ma impegno e tempo sì, senza alibi e senza menzogne perchè come ha detto Yehoshua, se dici a uno/a " ti amo", quel " ti amo" va riconfermato e detto ogni giorno. Il che, tradotto in termini che nulla tolgono all'immaginale, significa che alla voce contratto, l'amore è sempre (salvo le eccezioni che sono sempre degli altri) a tempo determinato. Allora, in questa linea sottile che separa maggio dai cugini autunnali, diamoci dentro, incrociamo qualche decade con un bocciolo, prendiamo posizione, facciamoci macinare con qualche coriandolo e un pizzico di paprica, qualche cubetto di ghiaccio per non fondere la consistenza e la coesistenza delle regole sopra citate, l'ispirazione progettuale.Insomma un luogo che poi diventa speciale, una cucina a vista con gli ingredienti a portata di mano, e magari un piccolo soppalco per qualche esercizio di stile, per sfumare la luce sotto le palpebre e devi indovinare con quale mano stai disegnando il fondotinta da restituire ai correttori di bozze.
E se proprio dobbiamo scegliere, Venere non sarebbe male, delizia del corpo, e giorno perfetto per ritrovarci all'ombra delle immagini in fiore.

mercoledì 18 maggio 2011

Un tranquillo week end alchemico.

Voglio tornare al nostro tavolo di lavoro, il resort monferrino, quasi un angolo amplificato dalla bellezza del paesaggio, lontano dagli hangar metropolitani e mentali cui siamo abituati. E alloggiati,nelle distillerie milanesi e galliche con mille punti interrogativi sull'eco sostenibile e sull'equo solidale. Via dalla pazza folla per un bagno di fieno in via col vento. E nel verde, con venature senesi e irlandesi, un assaggio immediato di leggerezza, le consegne impresse nell'appreso nei report di Verbania, e City Lyfe Bicocca. Andiamo per immagini. Prima inquadratura, i momenti che precedono la partenza, la meta da trovare, la consapevolezza di rivedere gli amici, tutto il tempo davanti per gli stampi a fuoco lento, tutti disposti nella teglia, per dare un taglio al discorso, o aggiungervi sapori nuovi, come l'aceto balsamico dei movimenti dei corpi, accarezzati dalla voce di Raquel. Questo disporsi sulla scacchiera dove convivialità e gioco si fondono in un equilibrio sensoriale, è qualcosa che nulla toglie al dispositivo immaginale, anzi funziona come una circolazione fisica che si estende a mano a mano che le mani si posano su altre mani, non un rituale, ma un movimento dialettico che agisce all'interno e si propaga in geometrie imperfette, ma fluide, corpose, una fotocamera che azzera la mente e sposta l'obiettivo sulla cornice tattile di una ripartizione netta tra il sentire e il vedere, tutto a favore del primo, talmente siamo sollevati nel quotidiano dall'attivazione di modalità empatiche fuori dalla norma, ma anche fuori, molto fuori dalle nostre abitudini. Un sistema inaspettato, ma operativo, capace di innescare poi l'immersione nel testo senza l'ergonomia delle pause, quasi non si avvertisse la fatica, lo scorrere del tempo, la primavera dietro le finestre. Ecco allora il registro del desiderio, mai nominato, ma percepito, come fosse un inaspettato formatore di tracce su cui far scorrere lampi e mappe con tutte le improvvisazioni da avvolgere in files numerati, mai banali o abbandonati al gioco del rovescio. Spazio quindi a una cucina creativa, a una filosofia dell'immaginario dove, tolti gli strati della cipolla, si va al nocciolo della questione senza pretese di risolvere i dubbi, anzi creandone nuovi, per lasciarli riposare giusto il tempo di metterli sul tagliere per decidere i tempi di cottura, come una sessione cosmetica dove mutano i colori, ma anche i soggetti.
Questo spazio emozionale, carico di simboli, di narrazioni che si moltiplicano nel passaggio delle parole e degli interventi, non ha nulla dell'avventura lasciata al caso, ma nemmeno del contenitore rigido entro cui gli elementi s'intersecano svuotando di senso il percorso che si segue. Questo spazio atemporale ( siamo nei corpi più che in un luogo) e nello stesso tempo sensuale, magico, sincronico, aumenta l'intensità e il valore della pressione che viene elaborata su testi e immagini, trovando il punto di fusione proprio quando si pensa di essere arrivati a un certo tipo di conclusione, al centro del cerchio e non lungo i bordi e le linee delle periferie che, a pensarci nel post it del post datato, diventano epifanie di spazi senza difesa, perfetti nell'arcobaleno delle microsfere junghiane che più di uno agisce togliendo la zip alle maglie che imbrigliano i trucchi per portarci verso altri approdi. Il gusto del crimine letterario quando le vele non seguono rotte prestabilite. Ce ne andiamo con un respiro diverso, senza bottoni ( le cerniere del significato e del significante), senza filtri, con tutte le voci che si rincorrono a vicenda, una struttura musicale precisa, lontana da ogni malinconia di genere, prossima a un nuovo avviso dei naviganti, quando il " noi " ci richiama e si completa nell'amorosa quiete che segue il respiro, tolte le maschere e le incombenze, senza alcun obbligo che il senso segua l'orario.

cantico della seduzione.

Lasciati guardare
lascia che i miei occhi
scartino lo spazio che si apre tra le tue gambe
lascia questo spazio
intatto
nella sua calma apparente
lasciami questo neo
questo pieno di carne sul filo dell'attesa
l'estate che si chiude l'autunno da spogliare.
Il tango, fragolina, è un progetto crudele
non fare passi falsi, lascia le labbra sulle tele
lascia che le tue nuda braccia facciano quadrato
sul battito del cuore
lasciati andare amore
non fare resistenza
io ti vedo anche quando non mi baci,
anche in tua assenza.

lunedì 16 maggio 2011

L'insostenibile leggerezza dell'essere: 3 poesie che raccontano i personaggi.

Per una mirabile sincronia che verrà poi disvelata da Paolo nel suo blog, mi ero portato da casa un libro di poesie, "Verso il tuo nome" di Nicoletta Bidoia, in fretta e furia anche se la sua scrittura, molto corporea, non legata a manierismi di sorta e lirismi liquefatti che non aggiungono niente al niente in produzione, funzionava da "totem", senza "tabù": aprendo a caso un verso, una poesia, ero certo che le parole sarebbero fluttuate lasciando un segno nei presenti. Così nella restituzione del film, dopo tutto quello che ci eravamo detti, quasi per magia tre brevi testi rispecchiavano la filosofia, il modo di vivere, i sentimenti di Sabina, Tereza e Tomas. Li ripropongo, significando che l'autrice non mette titoli ai testi, quindi questo fattore ha facilitato l'accostamento tra versi e personaggio.


1: Sabina:

Se un giorno tornerai
con la tua pelle intatta
e occhi verdi di frontiera,

se tornerai a varcare
la mia soglia e la mia fronte
fatte della stessa pasta,

se con tutto il corpo
mi guarderai ( e quello
sarà il segnale convenuto),

ti regalerò ancora le mie braccia
e nuove danze notturne
e mattutine

e letti trionfanti di voglie
che ci hanno già invidiato
nell'alto dei cieli.


2 : Tereza :

Mi chiedi chi mi uccide
- lo sai, ma non lo dici.
E' la distanza che tu metti
tra i pensieri e le parole,
il regalarmi favole felici
per non ferirmi gli occhi.

3 : Tomas :

Io non so davvero cosa sia
che tolga peso al peso
che diamo ai nostri giorni,
che li sollevi e poi che li risparmi
al nervo teso che scende su di loro
con la costanza di una malattia.

Io cerco,
e anche tu, da molti anni
il modo di fermare quella mano,
il gesto meno austero che ci sia
per liberare la sostanza
e guardarla finalmente da lontano.


ps. sia lode al Monferrato, al magnifico e incantevole posto in cui eravamo, alla resurrezione dei corpi e delle menti, al drappello di ussari bicocchiani posti a strenua difesa dell'immaginale.




domenica 15 maggio 2011

Antipsichiatria poetica


1999

Psichiatrici occhiali ti studiano,
farfalla fissata a filo di spillo,
volo nel buio interrotto.

Bianca camicia costretta su un letto
che scotta e brucia incubi di fuoco.

Occhi specchi di terribili incanti,
vedono altrove, dove non vi è aiuto.
Poi mi chiedi di portarti via di qui.

Un singolare week-end immaginale

Dico la mia a caldo sull’intenso weekend immaginale che si è concluso oggi. I partecipanti, oltre al sottoscritto e Fabio (in ordine alfabetico): Dania, Lorenza, Mario, Rachele, Stefania e Vito (marito di Lorenza). Mi viene da ringraziare tutti per i contributi, spesso originali, sempre pregnanti. E grazie a Mario per aver trovato il luogo (un agriturismo nel Monferrato), a Rachele per avere organizzato, a Fabio per aver coordinato.

Nel primo pomeriggio di sabato Rachele ha proposto e condotto, come introduzione alla radura, un’interessante esercizio di corporeità immaginale, che abbinava la visualizzazione di immagini e movimenti del corpo, che sono confluiti in una danza collettiva. Personalmente ne ho apprezzato l’effetto di rilassamento profondo e di connessione, visiva e tattile, con i miei compagni immaginali (ma così reali ...).

Ci siamo confrontati quindi sui testi letterari su cui lavorare. Dania ci ha svelato una singolare opera, a metà tra scrittura e pittura, "Da là sotto vengono gli esperti", di Marco Vinicio Masoni, che è rimasta visibile a tutti, per tutto il pomeriggio, come una sorta di nume tutelare: forse in questo modo è stata una silente, subliminale fonte di immagini, al di là di quelle che siamo riusciti a esplicitare.   

Fabio ha proposto poi a ciascuno di noi di parlare del modo in cui siamo approdati all’immaginale: una proposta che abbiamo accolto, che ci ha fatto posticipare la “messa in opera” dell’esperienza immaginale, ma che abbiamo accolto con piacere, evidentemente perché rispondeva a un nostro bisogno di riflettere sulla nostra motivazione e sul significato di quanto stavamo facendo, di attingere e dirci il senso che per noi ha l’esperienza immaginale. Se ne è andato così tutto il pomeriggio, senza che ce ne rendessimo conto: il tempo è volato, senza neanche una pausa, senza intervallo. Molti i motivi emersi, rilevanti le questioni aperte: la relazione e possibile integrazione tra immagini, emozioni, corporeità; il rapporto tra struttura e libertà; gli altri esseri umani come preziosa fonte di immagini, da considerare in aggiunta alle opere; il potenziale generativo e trasformativo delle immagini; il valore produttivo e generativo del caos; il rischio di perderci insito nelle immagini archetipiche e la follia come rischio supremo; immagini e malattia; gli insight; la tentazione di esorcizzare le immagini attraverso la mentalizzazione, la concettualizzazione; il rapporto tra immagini e concretezza, dove per "concretezza" possiamo intendere le aspettative (e i pregiudizi) generate dal nostro abituale orientamento pragmatico, ma anche un salutare bisogno di ancoraggio nel quotidiano, nel corporeo, che anche Jung aveva avvertito durante la sua avventura con il Libro Rosso; il valore autonomo che ha in se stessa l’esperienza immaginale, la sua gratuità; l’immaginale come esperienza di ascolto senza giudizio; le possibili forme della restituzione.

Prima di cena, in un momento in cui ci stavamo interrogando sul da farsi nel poco tempo rimasto, emozionato da alcuni temi emersi (la libertà, la follia …), ho avvertito l’urgenza di proporre la lettura di una mia poesia: proposta accolta. La poesia che ho letto, “Antipsichiatria poetica”, ha dato luogo naturalmente, senza bisogno di un invito esplicito, da parte mia o di Fabio, a una breve ma intensa meditazione immaginale, che mi ha arricchito e toccato. Lorenza ha attirato l’attenzione sull’analogia tra l’immagine con la quale inizia la poesia e l’immagine rappresentata dal’opera figurativa “Charlie non fa il surf”, che campeggiava sulla copertina del nostro quaderno immaginale.

La sera abbiamo visto, su proposta di Fabio, il film “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, tratto dall’omonimo romanzo di Kundera: un film molto lungo e ricco di motivi immaginali.
La mattina di domenica ci siamo dedicati a quest’opera. Rimaneva poco tempo e la mia richiesta di trovare il tempo per esplorare un’opera letteraria ha trovato un’inattesa e originale risposta in Mario, che sincronicamente, aprendo a caso le pagine di un suo libro, di una poetessa contemporanea, Nicoletta Bidoia, ci ha letto tre poesie, che abbiamo riconosciuto come la voce dei tre protagonisti del film. Abbiamo accolto questa lettura come conclusione della fase di restituzione.

In questo contesto l’entrata nel gruppo di Vito, senza precedenti esperienze immaginali ma con esperienze di altro tipo, culturalmente affini, è stato avvertito come un fattore di arricchimento, con un suo contributo di immagini e riflessioni.

È stato un weekend che, pur partendo dalla struttura formativa appresa nei residenziali a Verbania, grazie all’estrema flessibilità e versatilità dello stile di conduzione di Fabio (che personalmente ho apprezzato) si è svolto all’insegna di una sperimentazione, fertile di motivi di riflessione. Mi viene da dire: un workshop guidato, più che da un programma predefinito (e in effetti mai definito), dalla persona del conduttore (che ha lasciato molto spazio: una conduzione … taoista…) o dalle opere scelte (alla fine abbiamo trattato opere diverse, da quelle proposte all’inizio), dalle immagini stesse; da immagini trasversali rispetto alle opere e anche alla tipologia di opera (testo letterario, pittura, film); immagini che esondavano da un’opera all’altra, manifestando in diverse occasioni il proprio potenziale di sincronicità e portandoci a esplorare una linea di ricerca, che a mio avviso rientra nella tradizione immaginale, quella dell’amplificazione di junghiana memoria.

Un weekend a tratti caotico e dispersivo, in cui abbiamo sperimentato anche qualche momento di smarrimento: quando abbiamo avvertito il rischio della dispersività, dell’interpretazione concettualizzante, ci ha soccorso una capacità di autoregolazione che ci ha fatto toccare con mano la nostra maturazione non solo nel livello di apprendimento immaginale, ma anche come gruppo, come rispetto reciproco e intensità di relazione; quando stavamo perdendo il filo, ci ha soccorso … la sincronicità.

Quanto è accaduto nel Monferrato, per la sua destrutturazione, imprevedibilità, per le caratteristiche particolari del gruppo di persone in cui è nato, non può certo essere proposto come qualcosa da replicare in altri contesti. Ma sono tornato a casa con un senso di libertà, apertura e fiducia nelle immagini, arricchito da spunti e riflessioni di portata più generale. In particolare, restano aperte alcune questioni di metodo, rispetto alle quali personalmente non ho una risposta: le sottopongo ai compagni di viaggio immaginale e ai nostri docenti.
  • Come incoraggiare una sperimentazione, che può dare vitalità all’esperienza immaginale? come farlo senza  rinunciare al valore di una struttura, di cui abbiamo compreso a pieno il valore proprio nei momento in cui più l’abbiamo persa di vista? Non parlo solo delle regole ma anche e soprattutto dei vincoli temporali, ai quali non abbiamo dedicato sufficiente attenzione ... E in che misura la struttura può nascere, al di là del programma e della metodologia, dalle immagini stesse, dalla loro struttura sottostante?
  • Quale può essere il valore, la funzione di una forma di introduzione alla radura più legata alla corporeità, al sentire e all’espressività del corpo, come quella che abbiamo sperimentato sabato?
  • L’esercizio delle amplificazione delle immagini, come lo intende Jung, può entrare nel metodo classico di conduzione dell’esperienza immaginale, come definito da Paolo Mottana? In particolare, potrebbe entrare nella fase finale della restituzione? E/o potrebbe essere utile per un diverso percorso di esplorazione immaginale che parta da specifiche tematiche e non dalle opere? Che cioè conduca dai temi alle opere pertinenti e non viceversa?
  • Personalmente ho trovato che in questo nostro weekend la restituzione attraverso altre immagini, in particolare la restituzione di un film attraverso la lettura di tre brevi testi poetici o la restituzione della mia poesia mostrando un’opera figurativa, sia stata più pregnante dell’esercizio consueto di re-titolazione. A questo proposito, quali altri mezzi di restituzione, meno concettuali e più espressivi rispetto alla titolazione, si possono immaginare? Ad es. gesti, danze, canti, brevi esercizi di scrittura creativa?
  • Se ora chiudo gli occhi, ciò che vedo non sono le immagini di cui abbiamo parlato, sono i volti appassionati, commossi dei miei compagni di immaginazione. Le immagini hanno bisogno di spazio, ma non nascono in uno spazio vuoto: nascono da concreti soggetti umani. In che modo il gruppo è una risorsa, un terreno da coltivare per le immagini? In che misura l'alchimia delle relazioni può contribuire al buon esito di un’esperienza immaginale e influire sulle immagini che sorgono? Può avere senso dedicare una cura specifica, nella "radura" immaginale, alle relazioni tra i partecipanti, alle loro dinamiche, nonché a quanto accade internamente ai singoli individui?

mercoledì 4 maggio 2011

C(r)ampi immaginali.

Come volete lo shampoo mentre passano le immagini sul Giappone? Ah, quei poveri capelli paragonati all'edificio che si sgretola e perde la sua elasticità! Tutto scorre sul web, sul video in HD (alta definizione, ma hotel disperati potrebbe essere una variante plausibile in certi contesti, improvvisi ed ineluttabili), sui titoli trattati secondo la piega della testata. Ti hanno appena offerto un massaggio, lo jam, con speciali marmellate per il corpo, o il cream alla panna montata, nel caso il montaggio non ti sia gradito e tu preferisca qualcosa di morbido e aromatico, quel tocco lieve che cancella le imperfezioni dello spirito.Fatti un regalo, mica sempre puoi correre dietro agli omicidi delle Melanie e delle Rosarie con la soluzione Acqua di Parma e il gel pre-dosato per il Tg di Sky che ti conduce verso altre piste e si coccola i vicini di casa che non hanno visto niente e che coppia esemplare, tutta bigodini e poligoni di tiro, ma bisogna tagliare e andare al prossimo servizio, possibilmente indolore.Cosa c'è di meglio in questo frangente del "lato b" di Pippa Middleton? Non hai ancora letto le quote di chi ipotizza che sotto lo splendido abito aderente l'intimo sia su Marte e non sul Monte di Venere? E va bene, non esageriamo con il colore, ma non è ora di cambiare rotta? Sediamoci sul porticciolo di Vernazza, prendiamoci una pausa di Libertà con Jonathan Franzen, se già non avete letto Le correzioni. Che colpo d'occhio i tuoi sandali intrecciati al grecale. Inchiodami da qualche parte che poi ti faccio sbocciare e scemare sulla linea del fuoco mentre ti tolgo le punte, appena in tempo, prima dell'esecuzione. In fondo basta una noce di burro per sciogliere l'immagine più dura con te che ti allontani sul molo come un gamberetto di antica memoria.Punta la veglia, e svegliami, sull'ombelico del mondo.

venerdì 15 aprile 2011

La cerimonia dello sguardo.

Lo sguardo immaginale è uno sguardo filosofico.Uno sguardo filosofico non è un gioco estatico per iniziati. Come se dovessimo inerpicarci per pendii scoscesi e dare al paesaggio connotazioni filtrate da una cultura inacessibile che guarda le nuvole con l'ausilio di una maschera.Certo occorre un cambiamento di rotta, e ruotare dal rimosso alla seduzione, eliminando tutti quei dispositivi cui siamo abituati lungo i tragitti delle nostre esposizioni. Si tratti di camminare, o di relazionarci con gli altri, prestare ascolto (quasi mai empatico), digitare fuori o dentro i binari che ci siamo costruiti, aprire o chiudere spazi di comunicazione. Non occorre sgranare gli occhi, ma capire, e vedere che oltre alle rette che seguiamo dal risveglio, ci sono angoli e visuali, solo all'apparenza nascosti, preclusi alla reversibilità dei nostri itinerari mentali. E' come se una volta scesi dal letto, dovessimo agire protetti da guardie del corpo che si chiamano regole conviviali, abitudini, pubbliche virtù, norme sociali che orientano il nostro cammino per proteggerci dal mondo, un mondo di segni che la psicanalisi indirizza verso il sintomo come una premurosa infermiera ci indicherebbe in quale sala dobbiamo fare il prelievo.Uno sguardo immaginale recupera e rovescia le sequenze prestabilite, i compitini ben fatti per la giornata, ci fa uscire dai luoghi sorvegliati per aprirci a una semantica del desiderio dove non devo aspettare le mosse dell'altro per assentarmi a sua insaputa e rientrare da un'altra stanza, da un altro punto scelto a caso nel caos dell'ordine prestabilito. Possiamo tranquillamente starcene nel guscio, o scegliere il battesimo del fuoco che non significa gettarsi nella mischia, o seguire il proprio daimon ai lati di qualche improvviso e sfuggente incantesimo. Uno sguardo immaginale rompe lo schema soggetto- oggetto, trita i luoghi comuni, raffredda i giudizi, li sospende dall'incarico, posa in opera una diversa architettura dell'abitare i luoghi, o le persone, le conoscenze e le opinioni.Ci si pone sulla scacchiera, indifferenti alla posizione che andremo ad occupare, ma consapevoli che la nostra energia troverà un sistema corposo su cui gli avvisi locali troveranno rispondenza in una nuova progettazione del nostro sentire. Per fare tutto questo non è necessario seguire un corso di strategie idratate con la crema del giorno e il burro cacao, è sufficiente rompere con la cosmetica di tutte le barriere che usiamo per proteggerci. Da chi? Noi siamo il nostro peggior nemico. Facciamo di tutto per restare all'interno delle categorie, delle mappe, delle trappole, come se fossimo sospesi sopra il cielo di Berlino. Se proprio dobbiamo cadere, meglio cadere nelle calze a rete di una norvegese in ghingheri coi tacchi a spillo che nella rete multibrevettata degli spam e dei social maquillage dove rimaniamo imprigionati in una specie di ebetudine che ci fa vivere di luce riflessa. Scegliamo la sensualità di una passante sul passante che porta all' Isola che c'è, in qualche negozio d'antiquariato dove restaurare l'aspetto patinato delle nostre clausure. La cerimonia dello sguardo non è una pittura antigraffio per difenderci dagli spifferi d'ordinaria amministrazione. Uno sguardo immaginale provoca lo spostamento del soggetto verso il riconoscimento dell'oggetto che ci seduce e ci esalta, non per accelerazione del battito nell'estasi metafisica del finale, quando l'estensione concava ci avvolge nella sua seta, e sete di carne, ma nell'affascinante fusione di occhi che incrociano altri occhi e trovano, in questa autentica vertigine, una sublime leggerezza senza impunture di sorta. Con questi chiari di luna?, potrebbe
essere l'obiezione. Sì, slacciate la coulisse, e prendete il primo volo a disposizione.

mercoledì 13 aprile 2011

Tra spinaci e Spinoza,nell'effimero vuoto del reale.

Sgombriamo il campo da un equivoco. Scrivere di letteratura, che sia immaginale o meno, non significa possedere il senso del reale e riprodurlo come se la realtà fosse un lavello su cui profondere o gettare la nostra soggettività. Scrittori di realtà, o scrittori di esercizi di stile, o comunque chiusi in una loro biosfera, insensibili al richiamo del sociale, di quanto accade nel Belpaese o sulle sponde islamiche. Un nutrito esercito di critici propende per l'arte realistica a scapito dell'immaginario, come se quest'ultimo fosse un accessorio glamour da relegare nel parco giochi dei bambini, o degli innamorati. Da qui il braccio di ferro ( gli spinaci come dato oggettivo, commestibile, e descrivibile nella cruda essenza) tra racconti e romanzi che si occupano del presente , o rivisitano il passato, ma sempre alla luce della storia, della biografia, qualcosa che comunque possegga dei riferimenti notarili, contabili, e chi invece si cimenta con la scrittura come terreno dell'esplorabile, di "mondi che non hanno aspettato noi per formarsi", mosso da quell'energia creativa che ti deriva in ogni caso dal rapporto, simmetrico o meno, con l'Altro da sè, si chiami amore, alter ego, o "gola profonda". E qui ci sta Bataille, e qui si muove Spinoza, ma anche Proust gioca le sue carte su scenari dove la realtà è reinvenzione del mondo, del gesto, dello sguardo. Se devo dipingere un platano per imbrattare una tela, tanto vale fotografarlo. Al di là di ogni sentimento inquisitorio, gran parte della scrittura che leggiamo è una scrittura giornalistica, mediata dalla connessione di proiezioni addizionali più che di sottrazioni riflessive, capaci di aggregare un fatto, o un'emozione, a una visione poetica dell'esistenza. Se leggiamo una scena di sesso in Bassa Baviera, e sostituiamo sesso con caccia per ricordarci il film di Peter Fleischmann ( un titolo a caso, del 1968, anno dell'imagination au pouvoir) ci troviamo di fronte a due possibilità: o andiamo giù piatti ( e consumato il pasto non ne avremo memoria), o usiamo metafore fuori luogo ( il cavaliere che sfodera la spada di fronte alla " rosa purpurea del Cairo") e qui la Cecilia di turno ci condisce via con le besciamelle al forno;oppure possiamo tentare, contaminando i linguaggi che abbiamo a disposizione, di creare senso, significati, a cui i lettori possono aggiungere la loro esperienza di condivisione o meno di quanto esplicitato, dando comunque loro una traiettoria, un percorso immaginale non del tutto finito, non del tutto descritto. Insomma, si dividono i segni per dare corpo a una terapia della passione come immanenza di un vincolo, qualcosa a cui agganciarsi per rimettersi sulla fune. E vedere l'effetto che fa. O stai in equilibrio, o cadi. Ma cadere nelle braccia del desiderio diventa un'indicazione preziosa per capire se ero una deriva, o un approdo per il soggetto che voglio includere, o eliminare. Nel dubbio, come ha scritto quel genio di Marco Pesatori ( che scrive da dio ma nessuno lo allocherebbe in qualche catalogo per il Nobel), " se sulle labbra di qualcuno dovesse diminuire il numero dei baci, è perchè il noto e l'usuale stanno per lasciare il passo all'incantevole mistero". Per farla breve. Pensateci sopra. ( Chi scrive su chi scrive?) Come si fa a controllare il linguaggio quando erompe e rompe con lo schema? Pensateci. Sottosopra. Versione light, o spessore in acciaio. Irriverente. Sguaiata. La giusta donna maschio in una serie di nude sedute. Da portare a casa. Non nel cuore della tua casa, ma nella casa del tuo cuore. E qui, o butti o ti mangi gli spinaci, ma tieni Spinoza e Lei sarà la tua lettrice.

martedì 12 aprile 2011

Minimal imagine.

Sdraiatevi su un prato, o su un letto, e chiudete gli occhi. Mettete in sottofondo Cosmic Love di Kitaro, isolatevi dal resto del mondo e girate il pensiero su questa frase di Proust, " l'amore ha come oggetto un corpo solo se in esso si fondono un'emozione, la paura di perderlo, l'incertezza di ritrovarlo". In una società "liquida" come la nostra, pensate di potere sottrarvi a questa equazione dell'inquietudine, dove le geometrie sensoriali non s'intersecano con il desiderio, o la proiezione della sua mancanza? Provateci. Magari appartenete al controcanto dei neostoici, i dissimulatori dell'esistente, quelli che non fanno una piega, nemmeno quando una voce gli spiega che bisogna rifare le cartine geografiche del Giappone, perchè per loro un sisma è solo un piccolo spostamento del proprio ombelico intorno a cui ruota l'ombrello dei pensieri, tutti volti al soddisfacimento del consumo, preferibilmente immediato, quello che fa tendenza e li proietta in un universo fantasmatico, dove le tentazioni vanno esaudite, con lo specchio delle brame a riflettere l'ego e i suoi veleni. Se poi siete sposati, chiudete gli occhi due volte. La prima per dimenticare di aver accanto un'immagine che va fuori campo ogni volta che accostate parole come felicità, passione, lasciando perdere la fusione che andrebbe a contaminare le zone residue del vostro cervello che ancora funzionano. La seconda vi dovrebbe servire a riorientare la vostra collocazione spaziale nella geotermia emozionale che vi siete conquistati nel talamo. Se rimanete freddi di fronte a un'ipotetica variabile di gelosia, allora potete salutare Wittgenstein e fare della vostra esperienza il vostro campo di battaglia, il vostro punto di osservazione. Avete già fottuto, o vi siete già fatti fottere dalle fate. Non andate a caso, visto che siete a casa, con gli occhi chiusi. Concentratevi sul vostro respiro in modo che diventi sempre più lento, un quasi nulla ontologico da cui partire verso dove volete. Scegliete un materiale. Lasciate perdere il vetro e il ferro che tolgono calore, optate per il legno, per le tonalità calde, anche in presenza di temperature tropicali. Entrate in uno stato di grazia, senza sottolineare in rosso l'inflessibilità delle virgole, o tutti quei punti su cui vorreste ritornare per spiegare, per aver ragione, per vedere se il modello funziona e voi governate la nave con o senza la vostra sirena.Con o senza il vostro principe. Sul pisello, o sul cestello, sarà solo una distonia neurovegetativa. Avete blindato la porta di casa. Non blindate i vostri sentimenti. Lasciateli andare alla deriva. Senza di loro potreste fare le valigie e partire per Lisbona, rifacendo a piedi Rua do Carmo per almeno tre volte, fino allo sfinimento. Esponetevi. Andate incontro alla nuda vita, senza che altri possano raggiungervi con quelle linguacce da rospi mediatici e salvifici. Entrate in sintonia con un'immagine minima, essenziale, e lasciatevi travolgere da questa immanenza erotica verso l'Altro. Non fate di un incontro una relazione tascabile. Fate di un bacio una rete solare che si propaga nella consapevolezza. Lasciate il coach e l'odalisca ai loro destini. Bruciate le menzogne con uno sguardo, e rompete l'amicizia se questa è falsa e si regge sulla dinamica del bisogno. Entrate in una costellazione di senso svegliando ogni senso su chi vi ama. Siate una rara occasione per vivere e farvi vivere. Mai un saldo, un contratto, qualcosa che alla fine crea una frattura tra il vostro destino e quello degli altri. Ricordate che un bacio non si compra e che alla fine, sarà l'immagine, una soltanto, a scrivere un nome nel vostro cuore. Non cercate il potere su chi amate. Un bacio e una carezza vi stanno già cercando.

mercoledì 6 aprile 2011

I pezzi mancanti.

Ci manca sempre qualcosa. Qualche pezzo dell'argenteria. O dell'artiglieria, secondo i casi. Ci manca l'aria, qualche volta.O qualcosa che non quadra all'interno del quadro, e allora devi cercare il dettaglio per ricreare il paesaggio dopo la battaglia, la definizione del tempo giusto per vincere il contrasto. Siamo pezzi mancanti. Manchiamo a noi stessi nel momento in cui tutto sembra splendere per il verso giusto, quando tutto sembra perfetto senza margini di scarto, di ripensamenti dell'ultima ora, con tutti i relais del circuito già filtrati per evitare operazioni fuori luogo. I quadri di una pittrice che dipinge solo mani. La bellezza delle mani, la loro unicità, il modo di stringere un'altra mano o una penna a inchiostro, le nervature, gli spazi lasciati liberi, il modo di incrociare le dita, di accarezzare un viso, di stringere un corpo, di avvolgerlo, di inaugurare un romanzo lasciando che la trama si apra al silenzio, alla veglia, a qualcosa di impercettibile che la mano nasconde e che un dubbio fa affiorare: e se quelle mani altro non fossero che una ricerca, non del tutto segreta, dell'a-ni-ma, del sotteso, del non detto, di quello che si vorrebbe fosse e ancora non é? Almeno nella sua formula più primitiva, non esplicita, non dichiarata.Ci manca sempre qualcosa nel carrello della spesa, delle parole che spendiamo, dei gesti che solo noi conserviamo in memoria, e di quelli che cancelliamo perchè abbiamo abbandonato la postazione e siamo sull'altra linea del fronte, ci sentiamo finalmente a casa dentro quell'infinito abbraccio che non scopre solo la nudità dei corpi, ma la loro caduta, questo cadere negli occhi di un altro, per riscoprire il mondo, l'ineffabile incanto che solo quel secondo, quel preciso istante, regala al cuore, al decimo piano di un'architrave sul lago di Costanza. Ma anche Rotterdam o la City Hall Square di Oslo, non cambia la sostanza, la natura del viaggio. Nel pezzo che cerchiamo, nello strappo che sogniamo per evadere dalla cornice. C'è una luna a cinque stelle fuori di qui perchè continui a girarti nel letto? D'accordo, se ci fosse il vento, il dieci curverebbe sulla lode, o su qualche logo incastonato sulle tue labbra. Per oggi mi hai assassinato con la maestria di un'orafa di Bruges, non posso chiedere a Dio una replica imperfetta del tuo sguardo. Come dire.Facciamo un gioco. Andiamo in simultanea sulla fune. Chi per primo perde l'equilibrio apre la sua ombra e trova il pezzo che gli manca. E tu ci ridi sopra, e non vedi l'ora di ricominciare. Dai pezzi mancanti, dalla meccanica sul quadrante quando con un morso sulla mela, lasci che la mano scivoli via nella geometrica perfezione dell'assenza. Cerca gli occhi sulla tela, non la ragnatela del mondo che tutto copre per non vedere. Batti all'asta il quadro, spia il tuo sonno per capire quello che ti manca.Non girarti. Sono dietro di te.Nelle nere parigine, tolte in prima battuta, per staccare l'ombra da terra.

giovedì 31 marzo 2011

L'immagine dei tuoi occhi.

Portami via con te.Portami lontano da questa città. Portami in un quadro di Rembrandt.Portami dentro la luce di Tallin. Portami dentro di te sul filo teso di questa mattina che non ha voglia di aspettare la notte. Ho voglia che mi leggi, non solo di fianco, o di traverso, o in mezzo alle mie cosce, bianche come pagine di un libro che non hai ancora preso tra le mani.Ti voglio accompagnare mentre mi sfogli e mi scompagini come una matta funambola sull'orlo di un aggettivo che scivola nel freddo e si riscalda tra le pieghe delle mie labbra. Portami oltre le linee di questa stanza, davanti al portico illuminato a giorno, sotto le volte dei tuoi pensieri e dei tuoi colpi, prima che il sole affondi tra le nuvole. Portami fuori da me e fammi cadere nei tuoi occhi e poi aspettami, aspetta che ti trascini nella mia corrente, nel mio vortice d'amore mentre le fiammelle delle candele quasi si sfiorano sulle punte. Portami in un angolo del cielo e lasciami sospesa, che poi ti ricado addosso piena di baci, con il vento che ci fa da cornice e ci salta tra le gambe.Portami all'ingresso e poi rientra ancora per cento, mille volte. Tu l'hai già capito che io sono la lettrice e tu un giocatore degli All Blacks, dai non fare finta, l'aria da monella, da maschiaccio, è solo un vezzo che qui si ribalta. Lo sai che qui mi arrendo, mi fai tua prigioniera, senza ragioni di sorta, o salvacondotti.Portami via con te, che poi ci dividiamo per ritrovarci in sogno. Leggi dai miei occhi quanto ti amo, e come questo quanto non sia ancora abbastanza.Dai, portami via, ti lascio le lenti a contatto.Così non mi perdi di vista e mi vedi di sbieco, mentre mi addormento pensandoti chino su di me mentre mi facevi l'uovo alla coque. Portami in un quadro di Bosch, o nei giardini di Compton House,colami in un labirinto, ma portami via. Portami via. Con te.

giovedì 24 marzo 2011

Dove andare

Viaggiare dentro noi stessi, scrive Paolo. A Sestri Levante, o a Ravenna.Ieri ho fatto un viaggio con Mariza. A Lisbona. Accompagnato dalla sua voce, la più bella voce del fado portoghese in questo momento, la vera erede di Amalia Rodriguez. Una voce calda, inconfondibile, inimitabile. Basta ascoltare un brano come "Chuva" per dire che Fernando Pessoa, il mitico creatore degli eteronimi dei suoi romanzi, aveva ragione quando scriveva che per viaggiare basta esistere. Io viaggio tutti i giorni in mondi che non mi appartengono, in angoli che nessuno conosce, e lascio che il mio corpo prenda possesso dell'immaginario per disegnarvi mappe indecifrabili, un labirinto dove solo la tua mente sa dove puoi trovare l'uscita e incontrare gli occhi di Arianna perchè riflessi negli occhi di una donna non trovi l'eco che ti rimanda una qualunque tua immagine, ovattata dagli eventi di questo mondo frastagliato, ma la conferma di condividere anche un solo attimo, un pensiero, un bacio, una nuvola che si scioglie contro tutte le tessitrici o i tessitori che intorno a te vorrebbero creare nodi e fili spinati. Ogni Teseo deve avere la sua Arianna per muoversi tra i dedali delle vie crucis, o degli angoli paradiso che ci offre il giorno, o il momento e l'occasione. Ogni Arianna deve avere il suo Teseo, il guerriero che porta luce nella penombra inconfessata delle proprie paure. Per questo motivo più che i luoghi, contano le persone. Distesi tra i fili d'erba di una radura, si creano spazi emozionali di una bellezza eterea e divina perchè si è al di fuori di ogni progettualità di consumo.Baciati dal sole, leggiamo sulle labbra dell'altro le onde che ci attraversano e che ci scivolano addosso, lasciando cadere tutte le altre suppellettili. In questo modo usciamo dalle classifiche e dal target dell'ultima ora.Impariamo a ri-conoscerci, scartiamo l'involucro e tagliamo fuori il circuito.Il calcolo che ti fa cadere a occhi aperti dentro altri rapporti. Ma questo l'ha scritto Philippe Sollers. Che ne dite di un week end tra le colline del Monferrato? Passare attraverso l'immagine rettangolare dei suoi paesaggi, e assaporarne le linee curve e morbide, come i fianchi di chi vi sta accanto.Insomma uscire da una superficie e vibrare sullo sfondo di un'immagine non ancora scritta.

martedì 8 marzo 2011

Prossimo incontro marzolino del gruppo

Per la prossima riunione del gruppo propongo di vederci venerdì 11 marzo, presso la Libreria Puerto De Libros, in via Pollaiuolo 5.

Alle 17 ci vediamo Stefania, Mario ed io per parlare del progetto di letteratura immaginale per la scuola. Se qualcuno è interessato, ci diamo appuntamento a quell'ora.

Alle 18 diamo appuntamento a chi è interessato a proseguire la lettura di Ernst Jünger e/o a progettare il weekend immaginale.

Arrivederci a venerdì!

giovedì 3 marzo 2011

un week end immaginale

Un week end immaginale è qualcosa di diverso da un contesto geografico, una meta precisa su cui convogliare desideri e persone, tempo e stati emozionali che uno proietta a livello mentale, prima ancora d'essere partito. Non assomiglia, non ha le caratteristiche di quelle metamorfosi metropolitane dove basta un bagaglino per "vedersi" tra dune o castelli fatati, su spiagge o dentro strade che richiamano atmosfere precise e pulite, con tutte le architetture al posto giusto, senza sbavature di sorta, insomma metti Brema o Amsterdam, qualcosa che abbia comunque il rigore nordico per sfuggire al caos odierno dei siti mediterranei. Un week end immaginale assomiglia in prospettiva a una casa del futuro, quella "passiva" che supera di gran lunga le classificazioni energetiche della classe A. In altri termini una casa che produce energia più di quanto ne consuma. Uscendo da questa metafora, proviamo a fissare qualche parametro indicativo. Il gruppo si ritrova in un punto scelto, ma questa scelta condivisa non è il frutto della somma o delle differenze dei luoghi proposti, è semmai la risultanza di un ricambio d'aria per recuperare idee progettuali e scambiarle su flussi che vengono redistribuiti all'interno dei partecipanti per farne un "opera" attiva, qualcosa che rompe la dicotomia viaggio andata e ritorno, qualcosa che rompe le schermature idealtipo di quanto viene associato a un luogo, per favorire una diversa luminosità, dello sguardo e del pensiero. Un differenziale intellettivo che usa lo scambio dell'immaginario e delle culture dei singoli in un quadro armonico, come se tutto fosse ventilato, pensato, raffreddato al punto giusto per disegnare un ambiente dove tutti si sentono a proprio agio, in un circolo virtuoso che manda a casa tutte le facciate di noi stessi che non ci piacciono, e di cui faremmo anche volentieri a meno nel quotidiano. E' un partire per raccogliere dei frutti agganciati a un desiderio che si consumerà sul posto, permutando cifre e corpi con un taglio netto all'usuale circolazione delle idee.Un week end immaginale insomma, assomiglia a quella che Barthes definiva una "draga". Un piacere sotteso di scoprire nuove sequenze e nuove densità emozionali, ma tutte concatenate poi a un fare che produce uno scarto sul "prima", su come eravamo tre ore prima di partire, e su come saremmo poi tre ore dopo essere ritornati alle proprie abitazioni. Un week end immaginale è una costruzione a più livelli, un gioco, un lavoro, un orientamento che va in profondità e restituisce un risultato, uno spazio calmo di riflessione in cui si va a toccare, in maniera imprevista, e improvvisa, canali immaginativi e corporei che rimanevano bloccati nell'individualismo comune. Bloccati e rimossi, non utilizzati. Perchè è solo dall'altro, dall'interazione, che può nascere un diverso registro di movimento, di progettualità. Un week end immaginale è un'avventura sensoriale. Si è padroni di casa e nello stesso tempo ospiti.Ci si ri-trova nella lentezza del cielo e nella forma delle nuvole, ben sapendo che dalla con-fusione di queste linee, il ricavo geometrico e geotermico sarà superiore alle resistenze della pigrizia.Per farla breve. Un week end che inizia quando termina.

lunedì 28 febbraio 2011

Poesia immaginale per la scuola: prime idee

Giovedì 24 febbraio Stefania, Mario ed io abbiamo pensato di iniziare a raccogliere un po' di idee per un progetto di lettura immaginale di poesie, da proporre alle scuole secondarie di primo e secondo grado, nel prossimo anno scolastico, 2011-12.

L'idea è di proporre la lettura immaginale su poesie già nel programma scolastico, pensando in questo modo di evidenziare ancora meglio la differenza rispetto agli altri tipi di approccio. Da informatico, ho proposto di contemplare la possibilità di un utilizzo di tecnologie multimediali, come le LIM (Lavagne Interattive Multimediali), come ausilio alla lettura immaginale.

La prima tappa di questa nuova idea-progetto, che è aperta al contributi di tutte le persone interessate, è la selezione di un primo nucleo di poesie su cui lavorare. La scelta è stata lasciata in questa fase a Stefania e Mario, "esperti del campo".

Il prossimo appuntamento per questo progetto è venerdì 11 marzo alle 17. Ci vedremo presso la Libreria Puerto De Libros, in via Pollaiuolo 5.

Si prega chi fosse interessato a farcelo sapere via email o con un commento a questo post.

Week-end immaginale: una proposta

Giovedì 24 febbraio ci siamo trovati in tre soltanto (Stefania, Mario e il sottoscritto) per l'incontro mensile di letteratura immaginale. Alla fine è arrivata Viola per salutarci.

Essendo in pochi per un giro di lettura immaginale, ne abbiamo approfittato per discutere questioni di fondo sul futuro del nostro gruppo. In particolare non abbiamo potuto fate a meno di constatare la difficoltà a vederci con continuità e a dare ai nostri incontri una durata sufficiente a completare una lettura immaginale. Del resto Milano è una città esigente e complicata, tutti noi siamo molto impegnati tra lavoro, famiglia, e altre passioni. Inoltre abitiamo lontani gli uni dagli altri, è difficile trovare un luogo d'incontro ideale e qualcuno di noi deve fare dei veri e propri viaggi.

Da queste considerazioni è nata un'idea per i prossimi incontri: la proposta di un week-end immaginale, fuori porta, al lago, ai monti o, perché no, al mare, un week-end in cui possiamo trovare uno spazio più ameno e accogliente per una lettura immaginale che possa essere completa. Un week-end aperto anche a coniugi, fidanzati, amici, alcuni dei quali potrebbero farsi coinvolgere nella lettura immaginale. Un week-end aperto a degustazioni e gite immaginali, all'insegna dell'unire il dilettevole al dilettevole...

Che ne pensate?

martedì 22 febbraio 2011

due o tre cose su "La caccia al cinghiale"

Vorrei prendere spunto dall'intervento di Fabio Botto nel finale del suo testo, quando parla dell'immaginale. Il racconto "Caccia al cinghiale", nella sua brevità si offre come un pre-testo per seminare indizi e raccogliere immagini, al di là delle sequenze che compongono il racconto, di per sè lineare, oserei dire cinematografico perchè nel leggerlo il piano semantico è scorrevole e parallelo a ciò che uno immagina mentre le parole scorrono e "vanno a caccia" non solo di significati meta-linguistici, ma di una visione d'insieme dove il senso delle frase, delle frasi, non è un accumulo di "onde" tese a infrangersi sul finale, ma imporre un gioco visivo che consiste nel vedere quello che in apparenza non si vede. La magia dell'immaginale è scoprire d'incanto, insieme agli altri, questa presa diretta sui colori, sulle atmosfere che si vengono a creare, sugli stati emozionali che le deviazioni dei personaggi innescano, quasi a comporre una trama da sciogliere per ricomporre il filo del discorso. Come in tutti i racconti che si rispettano, verso la fine assistiamo a un cambiamento di posizione dei personaggi, quella che in gergo aeronautico si potrebbe definire " una virata",che fa cambiare al lettore la prospettiva di quello che s'immaginava, e invece cambia, e accade, fa accadere qualcosa di diverso, di profondo, e qui siamo in piena letteratura. La lettura immaginale viceversa, cambia la matrice dello sguardo e la sua interpretazione, aggiunge linee di contorno che non t'aspettavi, estingue un percorso e ne crea un altro. Se dovessimo fare un gioco dei colori, il nero del cinghiale è sì un corpo facile da immaginare, soprattutto per l'imminenza della morte, ma è altrettanto una sofferenza permeabile e senza voce, qualcosa che si apre sull'abisso dell'inconoscibile dove il bianco del presente si ribalta nel suo opposto. L'immaginale apre la superficie dei contorni, origina spiragli di luce e di ombre, rotola nel fango e nel sangue, ci fa precipitare nell'agonia dell'animale ma non come pure effetto di un gesto, uno sparo, una lama che si conficca da qualche parte. Il flusso del sangue è un flusso che apre immagini togliendole dal vuoto, dal bianco dell'attesa, da quelle fette di spazio che ognuno occupa secondo i propri desideri o le proprie mancanze, come se la carne fosse una formula per estrarre vibrazioni che danno origini a disegni, schizzi, incisioni. Qualcosa che serve a lasciare un segno. Non nella visibilità del corpo inerme, o del terreno, ma dentro di noi. La morte dell'altro non chiude, apre i nostri occhi sulla possibilità di un rovescio, ri-animare gesti e suoni in contrassegno per riprenderci il bianco, il rosso, il nero, e sfumarli in una geometria di specchi dove la nostra immagine finalmente riacquista un respiro e ci ri-posiziona sul battito, sull'ora di quel sentire di cui avevamo perso le tracce. Deporre le armi, seguire una nuvola, lasciando che la polvere si porti via tutte le variabili del sembiante, per restituirci il fondo delle cose. Un po' come dividere l'economia degli affetti dalla loro riproduzione nel quotidiano. Dragare verso qualcosa che resta fuori tiro, che ci sfugge, e grazie a questa imprevedibilità illumina scene che ci attirano dietro le quinte del palco.Come attori che non hanno bisogno di vedersi, trattenuti da una voce interiore che li guida verso l'approdo, o la deriva, di un altro sguardo.

giovedì 10 febbraio 2011

Prossima riunione Letteratura Immaginale: giovedì 24 febbraio

La data fissata per la prossima riunione è giovedì 24 febbraio alle ore 18.30.

Ci vedremo presso il Circolo Sassetti, in via Sebenico 17, nella sala al piano interrato.

Per chi non ci è mai stato, il Circolo è in zona Isola ed è facilmente raggiungibile con il metro, fermata Garibaldi (linea 2) o Zara (linea 3), ma anche con il tram 7 o 31.

Proseguiremo la lettura immaginale del racconto La caccia al cinghiale di Ernst Jünger e imposteremo la lattura del racconto successivo, che dà il nome al libro, Visita a Godenholm.

Prevediamo che l'incontro duri un paio d'ore. Chi vuole potrà poi fermarsi a cena, al piano superiore dello stesso Circolo Sassetti, che è anche una nota trattoria vegetariana, che recentemente ha introdotto anche qualche piatto di carne nel suo menu.

Fateci sapere, con vostri commenti, se pensate di esserci.

lunedì 7 febbraio 2011

Riunione del gruppo “Immaginale e letteratura” del 21 gennaio 2011 alla libreria “Puertos de Libros” di Milano

Pubblico l'intervento che mi ha inviato Fabio. Buona lettura.
__________________________________
In questo secondo incontro, il gruppo “Immaginale e letteratura”, nelle persone di Dania, Stefania, Viola, Ermanno, Mario, Paolo e Fabio, ha iniziato la sua esperienza di lettura in chiave immaginale del libro di Ernst Jünger, Visita a Godenholm (1952), Adelphi, Milano, 2008, scelto dal gruppo in occasione dell’incontro precedente.
Prima di inoltrarsi nella lettura integrale (e in condivisione) del racconto lungo che dà il titolo al testo di Jünger, il gruppo ha deciso di “testare” preliminarmente la propria capacità di lettura immaginale, decidendo di cimentarsi con il racconto più breve che apre il libro, intitolato “La caccia al cinghiale”.
Abbiamo quindi deciso di leggere di sèguito l’intero racconto, una pagina a testa, a rotazione.
Dopo la lettura, abbiamo fatto seguire un momento di meditazione delle immagini incontrate nel testo di Jünger, e poi abbiamo proceduto alla restituzione individuale  delle principali immagini che ognuno di noi ha incontrato.
Mario. Atmosfera/emozioni simili a quelle che si incontrano nel film Le nozze (1972), del regista polacco Andrzej Wajda. Il bianco della neve, il rosso sul manto del cinghiale, un rosso di morte. Le immagini della narrazione sono di tipo cinematografico, non esclusivamente psicologico. Il paesaggio ricorda certe atmosfere tipo quelle di Bruegel il Vecchio. Notevole presenza anche di immagini erotiche, collegate alla morte: cibo/eros. Il bianco rimane il colore dell’attesa.

Paolo. L’opposizione cromatica che regge il racconto è quella tra bianco e rosso. Il colore bianco però è più denso del rosso. Il bianco è avvolgente, attutente, in quanche modo protettivo. Stare nella neve protetti, come in un nido. Contrasto con il colore rosso. Il fucile visto in sogno (immagine particolarmente forte), simbolo di virilità. Sogno di impotenza, immagine fortemente sessualizzata. Il cinghiale, immagine di bellezza mostruosa, affascinante, al di là di un sentimento di paura.

Stefania. Il colore bianco, all’inizio e alla fine del racconto. Il rosso è presente, ma non così tanto come il bianco. Il rosso del fuoco. Le immagini del racconto sono fortemente legate ai colori. Il verde del nastro, il rametto di abete intinto nel sangue del cinghiale. Il color argento del fucile. Rosso/verde uniti. Il cappello è verde. Il blu delle interiora del cinghiale morto. Il rosso del cinghiale come un tinozza, bianco ovattato che via via diventa un grigio lattiginoso. Il sogno del ragazzo.

Dania. Immagini sospese tra sogno e realtà. Il sogno è quello della caccia o quello del fucile, che viene sognato come da chi ne è innamorato. Richard e il principiante, la sequenza del cinghiale ucciso. I vapori che escono dal cinghiale morto, dopo che il suo corpo è squartato dai cacciatori.

Ermanno. Due sono le immagini principali: 1) Il setting dell’azione, come se fosse visto dall’alto; la landa, il territorio dell’azione, una specie di piatta thundra. Contrasto con il colore scuro degli alberi. Una parte di boscaglia è costituita da alberi secolari. 2) Il fucile, con le sue canne scintillanti. I ragazzi sono accovacciati in una buca; la brocca per il vino; le viscere del cinghiale, che colorano di rosso la neve tutt’attorno al cadavere dell’animale. Il muso del cinghiale non è brutto o spaventevole. Il cinghiale è sempre in movimento, nel sottobosco. Il capocaccia che poggia il piede sullo sterno del cinghiale. Il coltello. Opposizione tra il dinamismo dell’animale e la staticità degli uomini radunati attorno al suo cadavere, a caccia conclusa. I cacciatori che si passano l’un l’altro la borraccia dell’acquavite. L’arrivo alla taverna, luogo di “perdita di eleganza”.

Fabio. Mi colpisce che, almeno in due occasioni, nel corso della narrazione ritorni la frase “oltre ogni immaginazione”. Le immagini che ho visto sono: rami d’abete, terra scura, giallo-verde dei regoli, resina odorosa, groviglio di rovi/rami, la radura nel bosco, l’aria di neve, il cinghiale a forma di razzo/goccia, marrone-rosso del cinghiale, pigolio degli uccelli nella boscaglia, tappeto di foglie autunnali, la nuvola di fumo dello sparo, le tracce di sangue, il cuore spezzato, la camera da letto immersa nell’oscurità.

Dopo avere condiviso e riflesso assieme sulle immagini che abbiamo visto, abbiamo aperto una breve discussione, da riprendere e approfondire nei nostri incontri successivi, sul significato del concetto di “lettura immaginale”. L’immaginale, come del resto è emerso chiaramente durante il corso di perfezionamento, non è riducibile a un’unica prospettiva, ma a una costellazione di prospettive. La scelta di quale angolatura immaginale sia più adeguata al progetto di lettura comune di un testo, è demandata al differente bisogno di relazionarsi con le immagini in esso presenti. 

By Fabio Botto