venerdì 15 aprile 2011

La cerimonia dello sguardo.

Lo sguardo immaginale è uno sguardo filosofico.Uno sguardo filosofico non è un gioco estatico per iniziati. Come se dovessimo inerpicarci per pendii scoscesi e dare al paesaggio connotazioni filtrate da una cultura inacessibile che guarda le nuvole con l'ausilio di una maschera.Certo occorre un cambiamento di rotta, e ruotare dal rimosso alla seduzione, eliminando tutti quei dispositivi cui siamo abituati lungo i tragitti delle nostre esposizioni. Si tratti di camminare, o di relazionarci con gli altri, prestare ascolto (quasi mai empatico), digitare fuori o dentro i binari che ci siamo costruiti, aprire o chiudere spazi di comunicazione. Non occorre sgranare gli occhi, ma capire, e vedere che oltre alle rette che seguiamo dal risveglio, ci sono angoli e visuali, solo all'apparenza nascosti, preclusi alla reversibilità dei nostri itinerari mentali. E' come se una volta scesi dal letto, dovessimo agire protetti da guardie del corpo che si chiamano regole conviviali, abitudini, pubbliche virtù, norme sociali che orientano il nostro cammino per proteggerci dal mondo, un mondo di segni che la psicanalisi indirizza verso il sintomo come una premurosa infermiera ci indicherebbe in quale sala dobbiamo fare il prelievo.Uno sguardo immaginale recupera e rovescia le sequenze prestabilite, i compitini ben fatti per la giornata, ci fa uscire dai luoghi sorvegliati per aprirci a una semantica del desiderio dove non devo aspettare le mosse dell'altro per assentarmi a sua insaputa e rientrare da un'altra stanza, da un altro punto scelto a caso nel caos dell'ordine prestabilito. Possiamo tranquillamente starcene nel guscio, o scegliere il battesimo del fuoco che non significa gettarsi nella mischia, o seguire il proprio daimon ai lati di qualche improvviso e sfuggente incantesimo. Uno sguardo immaginale rompe lo schema soggetto- oggetto, trita i luoghi comuni, raffredda i giudizi, li sospende dall'incarico, posa in opera una diversa architettura dell'abitare i luoghi, o le persone, le conoscenze e le opinioni.Ci si pone sulla scacchiera, indifferenti alla posizione che andremo ad occupare, ma consapevoli che la nostra energia troverà un sistema corposo su cui gli avvisi locali troveranno rispondenza in una nuova progettazione del nostro sentire. Per fare tutto questo non è necessario seguire un corso di strategie idratate con la crema del giorno e il burro cacao, è sufficiente rompere con la cosmetica di tutte le barriere che usiamo per proteggerci. Da chi? Noi siamo il nostro peggior nemico. Facciamo di tutto per restare all'interno delle categorie, delle mappe, delle trappole, come se fossimo sospesi sopra il cielo di Berlino. Se proprio dobbiamo cadere, meglio cadere nelle calze a rete di una norvegese in ghingheri coi tacchi a spillo che nella rete multibrevettata degli spam e dei social maquillage dove rimaniamo imprigionati in una specie di ebetudine che ci fa vivere di luce riflessa. Scegliamo la sensualità di una passante sul passante che porta all' Isola che c'è, in qualche negozio d'antiquariato dove restaurare l'aspetto patinato delle nostre clausure. La cerimonia dello sguardo non è una pittura antigraffio per difenderci dagli spifferi d'ordinaria amministrazione. Uno sguardo immaginale provoca lo spostamento del soggetto verso il riconoscimento dell'oggetto che ci seduce e ci esalta, non per accelerazione del battito nell'estasi metafisica del finale, quando l'estensione concava ci avvolge nella sua seta, e sete di carne, ma nell'affascinante fusione di occhi che incrociano altri occhi e trovano, in questa autentica vertigine, una sublime leggerezza senza impunture di sorta. Con questi chiari di luna?, potrebbe
essere l'obiezione. Sì, slacciate la coulisse, e prendete il primo volo a disposizione.

mercoledì 13 aprile 2011

Tra spinaci e Spinoza,nell'effimero vuoto del reale.

Sgombriamo il campo da un equivoco. Scrivere di letteratura, che sia immaginale o meno, non significa possedere il senso del reale e riprodurlo come se la realtà fosse un lavello su cui profondere o gettare la nostra soggettività. Scrittori di realtà, o scrittori di esercizi di stile, o comunque chiusi in una loro biosfera, insensibili al richiamo del sociale, di quanto accade nel Belpaese o sulle sponde islamiche. Un nutrito esercito di critici propende per l'arte realistica a scapito dell'immaginario, come se quest'ultimo fosse un accessorio glamour da relegare nel parco giochi dei bambini, o degli innamorati. Da qui il braccio di ferro ( gli spinaci come dato oggettivo, commestibile, e descrivibile nella cruda essenza) tra racconti e romanzi che si occupano del presente , o rivisitano il passato, ma sempre alla luce della storia, della biografia, qualcosa che comunque possegga dei riferimenti notarili, contabili, e chi invece si cimenta con la scrittura come terreno dell'esplorabile, di "mondi che non hanno aspettato noi per formarsi", mosso da quell'energia creativa che ti deriva in ogni caso dal rapporto, simmetrico o meno, con l'Altro da sè, si chiami amore, alter ego, o "gola profonda". E qui ci sta Bataille, e qui si muove Spinoza, ma anche Proust gioca le sue carte su scenari dove la realtà è reinvenzione del mondo, del gesto, dello sguardo. Se devo dipingere un platano per imbrattare una tela, tanto vale fotografarlo. Al di là di ogni sentimento inquisitorio, gran parte della scrittura che leggiamo è una scrittura giornalistica, mediata dalla connessione di proiezioni addizionali più che di sottrazioni riflessive, capaci di aggregare un fatto, o un'emozione, a una visione poetica dell'esistenza. Se leggiamo una scena di sesso in Bassa Baviera, e sostituiamo sesso con caccia per ricordarci il film di Peter Fleischmann ( un titolo a caso, del 1968, anno dell'imagination au pouvoir) ci troviamo di fronte a due possibilità: o andiamo giù piatti ( e consumato il pasto non ne avremo memoria), o usiamo metafore fuori luogo ( il cavaliere che sfodera la spada di fronte alla " rosa purpurea del Cairo") e qui la Cecilia di turno ci condisce via con le besciamelle al forno;oppure possiamo tentare, contaminando i linguaggi che abbiamo a disposizione, di creare senso, significati, a cui i lettori possono aggiungere la loro esperienza di condivisione o meno di quanto esplicitato, dando comunque loro una traiettoria, un percorso immaginale non del tutto finito, non del tutto descritto. Insomma, si dividono i segni per dare corpo a una terapia della passione come immanenza di un vincolo, qualcosa a cui agganciarsi per rimettersi sulla fune. E vedere l'effetto che fa. O stai in equilibrio, o cadi. Ma cadere nelle braccia del desiderio diventa un'indicazione preziosa per capire se ero una deriva, o un approdo per il soggetto che voglio includere, o eliminare. Nel dubbio, come ha scritto quel genio di Marco Pesatori ( che scrive da dio ma nessuno lo allocherebbe in qualche catalogo per il Nobel), " se sulle labbra di qualcuno dovesse diminuire il numero dei baci, è perchè il noto e l'usuale stanno per lasciare il passo all'incantevole mistero". Per farla breve. Pensateci sopra. ( Chi scrive su chi scrive?) Come si fa a controllare il linguaggio quando erompe e rompe con lo schema? Pensateci. Sottosopra. Versione light, o spessore in acciaio. Irriverente. Sguaiata. La giusta donna maschio in una serie di nude sedute. Da portare a casa. Non nel cuore della tua casa, ma nella casa del tuo cuore. E qui, o butti o ti mangi gli spinaci, ma tieni Spinoza e Lei sarà la tua lettrice.

martedì 12 aprile 2011

Minimal imagine.

Sdraiatevi su un prato, o su un letto, e chiudete gli occhi. Mettete in sottofondo Cosmic Love di Kitaro, isolatevi dal resto del mondo e girate il pensiero su questa frase di Proust, " l'amore ha come oggetto un corpo solo se in esso si fondono un'emozione, la paura di perderlo, l'incertezza di ritrovarlo". In una società "liquida" come la nostra, pensate di potere sottrarvi a questa equazione dell'inquietudine, dove le geometrie sensoriali non s'intersecano con il desiderio, o la proiezione della sua mancanza? Provateci. Magari appartenete al controcanto dei neostoici, i dissimulatori dell'esistente, quelli che non fanno una piega, nemmeno quando una voce gli spiega che bisogna rifare le cartine geografiche del Giappone, perchè per loro un sisma è solo un piccolo spostamento del proprio ombelico intorno a cui ruota l'ombrello dei pensieri, tutti volti al soddisfacimento del consumo, preferibilmente immediato, quello che fa tendenza e li proietta in un universo fantasmatico, dove le tentazioni vanno esaudite, con lo specchio delle brame a riflettere l'ego e i suoi veleni. Se poi siete sposati, chiudete gli occhi due volte. La prima per dimenticare di aver accanto un'immagine che va fuori campo ogni volta che accostate parole come felicità, passione, lasciando perdere la fusione che andrebbe a contaminare le zone residue del vostro cervello che ancora funzionano. La seconda vi dovrebbe servire a riorientare la vostra collocazione spaziale nella geotermia emozionale che vi siete conquistati nel talamo. Se rimanete freddi di fronte a un'ipotetica variabile di gelosia, allora potete salutare Wittgenstein e fare della vostra esperienza il vostro campo di battaglia, il vostro punto di osservazione. Avete già fottuto, o vi siete già fatti fottere dalle fate. Non andate a caso, visto che siete a casa, con gli occhi chiusi. Concentratevi sul vostro respiro in modo che diventi sempre più lento, un quasi nulla ontologico da cui partire verso dove volete. Scegliete un materiale. Lasciate perdere il vetro e il ferro che tolgono calore, optate per il legno, per le tonalità calde, anche in presenza di temperature tropicali. Entrate in uno stato di grazia, senza sottolineare in rosso l'inflessibilità delle virgole, o tutti quei punti su cui vorreste ritornare per spiegare, per aver ragione, per vedere se il modello funziona e voi governate la nave con o senza la vostra sirena.Con o senza il vostro principe. Sul pisello, o sul cestello, sarà solo una distonia neurovegetativa. Avete blindato la porta di casa. Non blindate i vostri sentimenti. Lasciateli andare alla deriva. Senza di loro potreste fare le valigie e partire per Lisbona, rifacendo a piedi Rua do Carmo per almeno tre volte, fino allo sfinimento. Esponetevi. Andate incontro alla nuda vita, senza che altri possano raggiungervi con quelle linguacce da rospi mediatici e salvifici. Entrate in sintonia con un'immagine minima, essenziale, e lasciatevi travolgere da questa immanenza erotica verso l'Altro. Non fate di un incontro una relazione tascabile. Fate di un bacio una rete solare che si propaga nella consapevolezza. Lasciate il coach e l'odalisca ai loro destini. Bruciate le menzogne con uno sguardo, e rompete l'amicizia se questa è falsa e si regge sulla dinamica del bisogno. Entrate in una costellazione di senso svegliando ogni senso su chi vi ama. Siate una rara occasione per vivere e farvi vivere. Mai un saldo, un contratto, qualcosa che alla fine crea una frattura tra il vostro destino e quello degli altri. Ricordate che un bacio non si compra e che alla fine, sarà l'immagine, una soltanto, a scrivere un nome nel vostro cuore. Non cercate il potere su chi amate. Un bacio e una carezza vi stanno già cercando.

mercoledì 6 aprile 2011

I pezzi mancanti.

Ci manca sempre qualcosa. Qualche pezzo dell'argenteria. O dell'artiglieria, secondo i casi. Ci manca l'aria, qualche volta.O qualcosa che non quadra all'interno del quadro, e allora devi cercare il dettaglio per ricreare il paesaggio dopo la battaglia, la definizione del tempo giusto per vincere il contrasto. Siamo pezzi mancanti. Manchiamo a noi stessi nel momento in cui tutto sembra splendere per il verso giusto, quando tutto sembra perfetto senza margini di scarto, di ripensamenti dell'ultima ora, con tutti i relais del circuito già filtrati per evitare operazioni fuori luogo. I quadri di una pittrice che dipinge solo mani. La bellezza delle mani, la loro unicità, il modo di stringere un'altra mano o una penna a inchiostro, le nervature, gli spazi lasciati liberi, il modo di incrociare le dita, di accarezzare un viso, di stringere un corpo, di avvolgerlo, di inaugurare un romanzo lasciando che la trama si apra al silenzio, alla veglia, a qualcosa di impercettibile che la mano nasconde e che un dubbio fa affiorare: e se quelle mani altro non fossero che una ricerca, non del tutto segreta, dell'a-ni-ma, del sotteso, del non detto, di quello che si vorrebbe fosse e ancora non é? Almeno nella sua formula più primitiva, non esplicita, non dichiarata.Ci manca sempre qualcosa nel carrello della spesa, delle parole che spendiamo, dei gesti che solo noi conserviamo in memoria, e di quelli che cancelliamo perchè abbiamo abbandonato la postazione e siamo sull'altra linea del fronte, ci sentiamo finalmente a casa dentro quell'infinito abbraccio che non scopre solo la nudità dei corpi, ma la loro caduta, questo cadere negli occhi di un altro, per riscoprire il mondo, l'ineffabile incanto che solo quel secondo, quel preciso istante, regala al cuore, al decimo piano di un'architrave sul lago di Costanza. Ma anche Rotterdam o la City Hall Square di Oslo, non cambia la sostanza, la natura del viaggio. Nel pezzo che cerchiamo, nello strappo che sogniamo per evadere dalla cornice. C'è una luna a cinque stelle fuori di qui perchè continui a girarti nel letto? D'accordo, se ci fosse il vento, il dieci curverebbe sulla lode, o su qualche logo incastonato sulle tue labbra. Per oggi mi hai assassinato con la maestria di un'orafa di Bruges, non posso chiedere a Dio una replica imperfetta del tuo sguardo. Come dire.Facciamo un gioco. Andiamo in simultanea sulla fune. Chi per primo perde l'equilibrio apre la sua ombra e trova il pezzo che gli manca. E tu ci ridi sopra, e non vedi l'ora di ricominciare. Dai pezzi mancanti, dalla meccanica sul quadrante quando con un morso sulla mela, lasci che la mano scivoli via nella geometrica perfezione dell'assenza. Cerca gli occhi sulla tela, non la ragnatela del mondo che tutto copre per non vedere. Batti all'asta il quadro, spia il tuo sonno per capire quello che ti manca.Non girarti. Sono dietro di te.Nelle nere parigine, tolte in prima battuta, per staccare l'ombra da terra.