mercoledì 25 maggio 2011

Alcune suggestioni ed emergenze immaginali di un fine settimana di maggio nel Monferrato

 By Fabio Botto

“Le immagini sono ‘interne’, ‘arcaiche’, ‘primordiali’; la loro fonte ultima è negli archetipi, e a noi si mostrano nel modo più caratteristico nella formulazione del mito. La coscienza che nasce da Anima guarderebbe dunque al mito, quale si manifesta nei mitologemi dei sogni e delle fantasie e nel disegno delle varie vite; laddove la coscienza dell’Io deriva i suoi orientamenti dai letteralismi delle sue prospettive, cioè da quella particolare fantasia che essa chiama ‘realtà’. Poiché le immagini fantastiche forniscono il fondamento della coscienza, a esse ci rivolgiamo per capire le cose a fondo. ‘Diventare consci’ significherebbe ora diventare consapevoli delle fantasie e riconoscerle dovunque e non solamente in un ‘mondo fantastico’ distinto e separato dalla ‘realtà’”.
James Hillman, Anima. Anatomia di una nozione personificata (1985), Adelphi, Milano, 1989, p. 125



Pomeriggio di sabato 14 maggio 2011
Mi è sembrato bello, e in qualche modo persino urgente per ognuno di noi, dare la stura al nostro week-end immaginale con una preliminare condivisione del racconto del nostro personale incontro con il Mundus imaginalis. Dopo qualche prevedibile esitazione da parte di ognuno di noi, Rachele ha rotto ogni indugio e ha messo in relazione il suo contatto con l’immaginale con il tema, che le è particolarmente caro, del corpo e quello dell’esperienza mistica. Stefania ci ha parlato della sua attenzione e della cura che ha sempre prestato per la propria vita onirica e per i simbolismi legati al ciclo mestruale e lunare. Nell’esperienza immaginale, occorre sempre mettere in conto l’eventualità di non sapere fino infondo “che cosa mi porto a casa”. Senza esitare, Mario ha ricondotto il suo incontro con lo sguardo immaginale alla grande passione per il cinema, e in modo particolare a una pellicola (e a un regista) da me molto amato, che è Per un pugno di dollari di Sergio Leone. Decisivo è anche il rapporto tra l’immaginale, l’immaginazione e il desiderio, tema centrale, fonte di ulteriori approfondimenti. Dania ha invece condiviso con il gruppo il nesso, che ben presto le si è palesato nella sua esperienza professionale di psicoterapeuta, tra i disturbi psichici, e in particolare con la follia, con il profondo simbolismo a essa sotteso. Rispondendo a Stefania, non è così importante “portare a casa” qualcosa dell’esperienza immaginale. Secondo Vito, nel nostro tentativo di ricostruire il nostro primo incontro con l’immaginale si evidenzia un elemento random, che tuttavia non vanifica ma forse rende più interessante il nostro desiderio di oltrepassare i limiti di un approccio soltanto di tipo “mentale” o libresco con il mondo immaginale. Particolarmente intenso l’intervento di Paolo, che intravvede una difficoltà di fondo nel ricostruire l’“inizio dell’incontro” con l’immaginale. All’inizio, ciò che in sèguito si è definito come Mundus imaginalis era per lui fonte di inquitudine e di paura. Decisivo si è rivelato l’incontro con i Ricordi, sogni, riflessioni di Carl Gustav Jung. Paura dell’immaginazione come paura della follia. La scrittura come rito per rendere praticabile la convivenza con l’immaginazione. Un sovrappiù di emozione di cui, per lo più, la nostra cultura non sa che farsene. Anche per Paolo, resta centrale il nesso immaginale-follia-scissione. In alcune discipline orientali di meditazione, per esempio la scuola di Jiddu Krishnamurti, l’immaginazione viene in qualche modo “esorcizzata”. Rapporto tra spiritualità ed esperienza immaginale. In agguato, come già Vito ha rilevato, c’è sempr eil rischio concreto della “mentalizzazione” dell’immaginale. rimane sempr euno sfondo di perplessità quandi ci si accosta al nesso tra l’immaginale e le sue possibili concretizzazioni. Altro tema ricco è quello del rapporto Eros/immaginale. A volte si ha l’impressione che, verso la conclusione dell’esercizio immaginale, il momento della restituzione rimanga sempre troppo mentale, astratto. Qualcosa della “corposità” delle immagini simboliche in esso sembra andare perduto. Per Lorenza, al di là di altri parametri, l’esperienza immaginale dimostra tutta la sua potenza nel rifocalizzare la nostra attenzione assopita sulle immagini. Il discorso immaginale è intrisecamente difficile, qualora rimanga soltanto un discorso. Fabio. Fondamentale per me è stato l’incontro tra l’immaginale e “gli effluvi della natura”, tipici del paesaggio ligure della mia infazia e adolescenza. L’immaginale si è in me ben presto ibridato con il mitico (Omero, i supereroi Marvel). Elemento catalizzatore fondamentale è stata la musica. All’inizio il rock progressive (Pink Floyd, Genesis, David Sylvian), poi il jazz e la fusion (Bill Evans, Miles Davis, Wayne Shorter).

Mattina di domenica 15 maggio 2011
Abbiamo proceduto alla condivisione, alla circolazione e alla restituzione dell’esperienza, fatta la sera prima, della visione del lungometraggio di Philip Kaufman, L’insostenibile leggerezza dell’essere (1988), tratto dall’omonimo romanzo di Milan Kundera. Il seguente resoconto, che non pretende in alcun modo di essere esaustivo, vorrebbe restituire almeno in parte l’idea della straordinaria emergenza di immagini, collegamenti, nessi, sincronicità, che la visione della pellicola ha provocato in tutti i partecipanti alla visione.
Dania. Specchi rotti, ovali, letti, cappelli, piscine, il numero 6, libri, tanti libri; Kerenin, il nome del cane di Tereza e Tomáš; la marca della macchina fotografica Practica. Corpi nudi, corpo come strumento musicale.
Lorenza. Carri armati, mezzi pesanti, la folla, la gente attonita, ribelle, una donna che fotografa, un uomo che cambia lavoro, penetra nelle case di altre donne.
Paolo. Corpi nudi di donna (pochi nudi di uomo), corpi singoli o ammucchiati, l’occhio del medico che guarda i corpi nudi dall’alto (posizione di potere), gli occhi della protagonista che piangono (mentre fotografa); movimento verso Occidente (fuga); movimento verso Oriente (sconfitta della donna che non è riuscita a conquistare il suo uomo). Quando Tomáš torna a Praga è solo. Il ritorno in campagna è una regressione verso le origini, alla terra. L’unica immagine di armonia è quella finale, dove Tomáš e Tereza sorridono entrambi; “leggerezza” come libertà interiore.
Rachele. Uomini e donne che fanno l’amore, confusione, giovani che discutono tra di loro, vestiti colorati in contrapposizione a uomini in grigio, tanti animali (porcellino, poi diventato adulto) un cane che accompagna una relazione (matrimonio), fino alla sua morte; natura, strade in mezzo agli alberi, uomini che lavorano in campagna, gente che lavora, differenti professioni, un’automobile Skoda azzurra, una pistola, tanta acqua; l’acqua in situazioni opposte: nel fiume, nel lago a Zurigo, le molte scale della città.
Stefania. Piante rigogliose in campagna, giovane donna che si tuffa in piscina, che fa interrompere la partita a scacchi degli uomini anziani in acqua; contrapposizione delle immagini di città alle immagini della campagna (contrapposizione grigio/verde); la vita di coppia in campagna è più serena; Sabina nell’ultima scena del film; contrasto di ambienti e dei volti dei personaggi; i vetri, il parabrezza, gocce d’acqua sui vetri, immagini filtrate attraverso le gocce d’acqua; fusione erotica come ritorno nell’indifferenziato, non un vero incontro di due corpi.
Mario. I corpi nudi, corpi desideranti, oppressivi, gli occhi molto diversi (lo sguardo intenso e magnetico di Tomáš, la sua “leggerezza”); gli occhi di Tereza, occhi della pesantezza; gli occhi di Sabina, anche qui la leggerezza. Tomáš è in bilico. Corpi/porci/fedeltà/godimento; l’unione dei corpi (l’altro non ti appartiene mai, la sua mente non ti appartiene…).
Lorenza: La città è grigia, piena di ombre.
Vito: Tomáš sceglie di tornare non perché non può farne a meno, ma perché guidato dalla sua “leggerezza”. La stessa leggerezza con egli cui sceglie di cambiare mestire.


lunedì 23 maggio 2011

I colori del suono, per uscire dal sonno, e rientrare nel sogno.

Che cosa spinge un gruppo di balordi tarati sull'immaginale a ipotizzare una ri-creazione sul colore del suono, tra settembre e ottobre, mesi preziosi per restituire il daimon alle sue ipnotiche braci intorno a un paesaggio agreste, o metropolitano? O, visto che ci siamo, a Tallin, capitale quest'anno della cultura europea? Ma potrebbe andar bene anche Mendrisio, cittadina accogliente in terra elvetica e patria di Mario Botta, di cui si potrebbe analizzare qualche progetto architettonico (la sede di architettura è proprio nella sua città natale) per risintonizzarla sulle linee del diurno o del notturno durandiano? Idea nata l'altra notte mentre leggevo un libro a dir poco straodinario non tanto per l'autore che si firma con un anomimo (anche se negli ambienti portoghesi si sa che è uno scrittore emergente ma dalla potenza espressiva notevole) quanto per il tema e il personaggio trattato: S, il Nobel privato. S è Josè Saramago, uno che con la scrittura andava a nozze, ma con le donne proprio non ci prendeva, e allora tutto questo tema tra desiderio del corpo, immaginazione ( lui che osserva le onde del mare pensando alla giovane moglie che se la gode con i maschi del posto e torna all'alba), opera, lo scarto tra la parola e la seduzione, tra l'atto e la sua sublimazione ( per favore niente Freud, ci ha già pensato Michel Onfray nel suo ultimo saggio), non potrebbe darci qualche spunto per una colazione sull'erba in edizione limitata, e numerata? Magari associando il suono a qualche riproduzione ( bellissima e stratosferica: mi riferisco al Libro Rosso di Jung) dove far convergere archetipi e labirinti alla Peter Greenaway? Con un colpo di spada, alcuni si sono persi per strada, ma il drappello di ussari bicocchiani è rimasto fedele a presidiare non solo le opere e a estromettere se stessi per meglio ritrovarsi ( guardatevi il videoclip "Trouble" dei Coldplay), ma soprattutto ha imparato a sospendere il giudizio come azzeramento dell'io per volare sopra e sotto il design e completare le sedute con assoli d'essemble che fanno atmosfera e lasciano il segno, sulla pelle, e nella mente. E questa voglia di ritrovarsi, questa esuberante passione di riallestire la scena per tenere vivi i rapporti ( una sorta di massaggio sensuale dove il tocco pizzica le corde del cuore) e sbloccarli dai quadrati impenetrabili del versante quotidiano, non rappresenta una mimesi che non ha nulla di esoterico, ma getta sul tavolo formule di desiderio senza che i dadi siano truccati? Ci muoviamo come grissini sui tasti del pianoforte, diamo fondo alle emozioni di contro alle mozioni dell'idiozia planetaria. In questa creazione di topologie improvvisate dove c'è sempre spazio per meditazioni e riflessioni che vengono a galla, nemmeno fosse Nettuno a sospingerci fuori dai fondali, l'angolo più nascosto diviene, come d'incanto, un memoriale di sequenze variabili e narrabili, una nervatura che si lascia i nodi alle spalle per meglio tessere trame mercuriali con spezie dionisiache, perchè dopotutto, non raccontiamoci balle, a muovere il mondo, a scrivere, ad educare, a saper bene trasmettere conoscenze, a creare, a vivere, c'è solo un farmaco che non si compra in farmacia, ma non si compra nemmeno altrove ( a meno di non confonderlo con il sesso che scivola poi, inesorabilmente verso il freddo), e questa cosa si chiama Amore. Niente forzature, ma impegno e tempo sì, senza alibi e senza menzogne perchè come ha detto Yehoshua, se dici a uno/a " ti amo", quel " ti amo" va riconfermato e detto ogni giorno. Il che, tradotto in termini che nulla tolgono all'immaginale, significa che alla voce contratto, l'amore è sempre (salvo le eccezioni che sono sempre degli altri) a tempo determinato. Allora, in questa linea sottile che separa maggio dai cugini autunnali, diamoci dentro, incrociamo qualche decade con un bocciolo, prendiamo posizione, facciamoci macinare con qualche coriandolo e un pizzico di paprica, qualche cubetto di ghiaccio per non fondere la consistenza e la coesistenza delle regole sopra citate, l'ispirazione progettuale.Insomma un luogo che poi diventa speciale, una cucina a vista con gli ingredienti a portata di mano, e magari un piccolo soppalco per qualche esercizio di stile, per sfumare la luce sotto le palpebre e devi indovinare con quale mano stai disegnando il fondotinta da restituire ai correttori di bozze.
E se proprio dobbiamo scegliere, Venere non sarebbe male, delizia del corpo, e giorno perfetto per ritrovarci all'ombra delle immagini in fiore.

mercoledì 18 maggio 2011

Un tranquillo week end alchemico.

Voglio tornare al nostro tavolo di lavoro, il resort monferrino, quasi un angolo amplificato dalla bellezza del paesaggio, lontano dagli hangar metropolitani e mentali cui siamo abituati. E alloggiati,nelle distillerie milanesi e galliche con mille punti interrogativi sull'eco sostenibile e sull'equo solidale. Via dalla pazza folla per un bagno di fieno in via col vento. E nel verde, con venature senesi e irlandesi, un assaggio immediato di leggerezza, le consegne impresse nell'appreso nei report di Verbania, e City Lyfe Bicocca. Andiamo per immagini. Prima inquadratura, i momenti che precedono la partenza, la meta da trovare, la consapevolezza di rivedere gli amici, tutto il tempo davanti per gli stampi a fuoco lento, tutti disposti nella teglia, per dare un taglio al discorso, o aggiungervi sapori nuovi, come l'aceto balsamico dei movimenti dei corpi, accarezzati dalla voce di Raquel. Questo disporsi sulla scacchiera dove convivialità e gioco si fondono in un equilibrio sensoriale, è qualcosa che nulla toglie al dispositivo immaginale, anzi funziona come una circolazione fisica che si estende a mano a mano che le mani si posano su altre mani, non un rituale, ma un movimento dialettico che agisce all'interno e si propaga in geometrie imperfette, ma fluide, corpose, una fotocamera che azzera la mente e sposta l'obiettivo sulla cornice tattile di una ripartizione netta tra il sentire e il vedere, tutto a favore del primo, talmente siamo sollevati nel quotidiano dall'attivazione di modalità empatiche fuori dalla norma, ma anche fuori, molto fuori dalle nostre abitudini. Un sistema inaspettato, ma operativo, capace di innescare poi l'immersione nel testo senza l'ergonomia delle pause, quasi non si avvertisse la fatica, lo scorrere del tempo, la primavera dietro le finestre. Ecco allora il registro del desiderio, mai nominato, ma percepito, come fosse un inaspettato formatore di tracce su cui far scorrere lampi e mappe con tutte le improvvisazioni da avvolgere in files numerati, mai banali o abbandonati al gioco del rovescio. Spazio quindi a una cucina creativa, a una filosofia dell'immaginario dove, tolti gli strati della cipolla, si va al nocciolo della questione senza pretese di risolvere i dubbi, anzi creandone nuovi, per lasciarli riposare giusto il tempo di metterli sul tagliere per decidere i tempi di cottura, come una sessione cosmetica dove mutano i colori, ma anche i soggetti.
Questo spazio emozionale, carico di simboli, di narrazioni che si moltiplicano nel passaggio delle parole e degli interventi, non ha nulla dell'avventura lasciata al caso, ma nemmeno del contenitore rigido entro cui gli elementi s'intersecano svuotando di senso il percorso che si segue. Questo spazio atemporale ( siamo nei corpi più che in un luogo) e nello stesso tempo sensuale, magico, sincronico, aumenta l'intensità e il valore della pressione che viene elaborata su testi e immagini, trovando il punto di fusione proprio quando si pensa di essere arrivati a un certo tipo di conclusione, al centro del cerchio e non lungo i bordi e le linee delle periferie che, a pensarci nel post it del post datato, diventano epifanie di spazi senza difesa, perfetti nell'arcobaleno delle microsfere junghiane che più di uno agisce togliendo la zip alle maglie che imbrigliano i trucchi per portarci verso altri approdi. Il gusto del crimine letterario quando le vele non seguono rotte prestabilite. Ce ne andiamo con un respiro diverso, senza bottoni ( le cerniere del significato e del significante), senza filtri, con tutte le voci che si rincorrono a vicenda, una struttura musicale precisa, lontana da ogni malinconia di genere, prossima a un nuovo avviso dei naviganti, quando il " noi " ci richiama e si completa nell'amorosa quiete che segue il respiro, tolte le maschere e le incombenze, senza alcun obbligo che il senso segua l'orario.

cantico della seduzione.

Lasciati guardare
lascia che i miei occhi
scartino lo spazio che si apre tra le tue gambe
lascia questo spazio
intatto
nella sua calma apparente
lasciami questo neo
questo pieno di carne sul filo dell'attesa
l'estate che si chiude l'autunno da spogliare.
Il tango, fragolina, è un progetto crudele
non fare passi falsi, lascia le labbra sulle tele
lascia che le tue nuda braccia facciano quadrato
sul battito del cuore
lasciati andare amore
non fare resistenza
io ti vedo anche quando non mi baci,
anche in tua assenza.

lunedì 16 maggio 2011

L'insostenibile leggerezza dell'essere: 3 poesie che raccontano i personaggi.

Per una mirabile sincronia che verrà poi disvelata da Paolo nel suo blog, mi ero portato da casa un libro di poesie, "Verso il tuo nome" di Nicoletta Bidoia, in fretta e furia anche se la sua scrittura, molto corporea, non legata a manierismi di sorta e lirismi liquefatti che non aggiungono niente al niente in produzione, funzionava da "totem", senza "tabù": aprendo a caso un verso, una poesia, ero certo che le parole sarebbero fluttuate lasciando un segno nei presenti. Così nella restituzione del film, dopo tutto quello che ci eravamo detti, quasi per magia tre brevi testi rispecchiavano la filosofia, il modo di vivere, i sentimenti di Sabina, Tereza e Tomas. Li ripropongo, significando che l'autrice non mette titoli ai testi, quindi questo fattore ha facilitato l'accostamento tra versi e personaggio.


1: Sabina:

Se un giorno tornerai
con la tua pelle intatta
e occhi verdi di frontiera,

se tornerai a varcare
la mia soglia e la mia fronte
fatte della stessa pasta,

se con tutto il corpo
mi guarderai ( e quello
sarà il segnale convenuto),

ti regalerò ancora le mie braccia
e nuove danze notturne
e mattutine

e letti trionfanti di voglie
che ci hanno già invidiato
nell'alto dei cieli.


2 : Tereza :

Mi chiedi chi mi uccide
- lo sai, ma non lo dici.
E' la distanza che tu metti
tra i pensieri e le parole,
il regalarmi favole felici
per non ferirmi gli occhi.

3 : Tomas :

Io non so davvero cosa sia
che tolga peso al peso
che diamo ai nostri giorni,
che li sollevi e poi che li risparmi
al nervo teso che scende su di loro
con la costanza di una malattia.

Io cerco,
e anche tu, da molti anni
il modo di fermare quella mano,
il gesto meno austero che ci sia
per liberare la sostanza
e guardarla finalmente da lontano.


ps. sia lode al Monferrato, al magnifico e incantevole posto in cui eravamo, alla resurrezione dei corpi e delle menti, al drappello di ussari bicocchiani posti a strenua difesa dell'immaginale.




domenica 15 maggio 2011

Antipsichiatria poetica


1999

Psichiatrici occhiali ti studiano,
farfalla fissata a filo di spillo,
volo nel buio interrotto.

Bianca camicia costretta su un letto
che scotta e brucia incubi di fuoco.

Occhi specchi di terribili incanti,
vedono altrove, dove non vi è aiuto.
Poi mi chiedi di portarti via di qui.

Un singolare week-end immaginale

Dico la mia a caldo sull’intenso weekend immaginale che si è concluso oggi. I partecipanti, oltre al sottoscritto e Fabio (in ordine alfabetico): Dania, Lorenza, Mario, Rachele, Stefania e Vito (marito di Lorenza). Mi viene da ringraziare tutti per i contributi, spesso originali, sempre pregnanti. E grazie a Mario per aver trovato il luogo (un agriturismo nel Monferrato), a Rachele per avere organizzato, a Fabio per aver coordinato.

Nel primo pomeriggio di sabato Rachele ha proposto e condotto, come introduzione alla radura, un’interessante esercizio di corporeità immaginale, che abbinava la visualizzazione di immagini e movimenti del corpo, che sono confluiti in una danza collettiva. Personalmente ne ho apprezzato l’effetto di rilassamento profondo e di connessione, visiva e tattile, con i miei compagni immaginali (ma così reali ...).

Ci siamo confrontati quindi sui testi letterari su cui lavorare. Dania ci ha svelato una singolare opera, a metà tra scrittura e pittura, "Da là sotto vengono gli esperti", di Marco Vinicio Masoni, che è rimasta visibile a tutti, per tutto il pomeriggio, come una sorta di nume tutelare: forse in questo modo è stata una silente, subliminale fonte di immagini, al di là di quelle che siamo riusciti a esplicitare.   

Fabio ha proposto poi a ciascuno di noi di parlare del modo in cui siamo approdati all’immaginale: una proposta che abbiamo accolto, che ci ha fatto posticipare la “messa in opera” dell’esperienza immaginale, ma che abbiamo accolto con piacere, evidentemente perché rispondeva a un nostro bisogno di riflettere sulla nostra motivazione e sul significato di quanto stavamo facendo, di attingere e dirci il senso che per noi ha l’esperienza immaginale. Se ne è andato così tutto il pomeriggio, senza che ce ne rendessimo conto: il tempo è volato, senza neanche una pausa, senza intervallo. Molti i motivi emersi, rilevanti le questioni aperte: la relazione e possibile integrazione tra immagini, emozioni, corporeità; il rapporto tra struttura e libertà; gli altri esseri umani come preziosa fonte di immagini, da considerare in aggiunta alle opere; il potenziale generativo e trasformativo delle immagini; il valore produttivo e generativo del caos; il rischio di perderci insito nelle immagini archetipiche e la follia come rischio supremo; immagini e malattia; gli insight; la tentazione di esorcizzare le immagini attraverso la mentalizzazione, la concettualizzazione; il rapporto tra immagini e concretezza, dove per "concretezza" possiamo intendere le aspettative (e i pregiudizi) generate dal nostro abituale orientamento pragmatico, ma anche un salutare bisogno di ancoraggio nel quotidiano, nel corporeo, che anche Jung aveva avvertito durante la sua avventura con il Libro Rosso; il valore autonomo che ha in se stessa l’esperienza immaginale, la sua gratuità; l’immaginale come esperienza di ascolto senza giudizio; le possibili forme della restituzione.

Prima di cena, in un momento in cui ci stavamo interrogando sul da farsi nel poco tempo rimasto, emozionato da alcuni temi emersi (la libertà, la follia …), ho avvertito l’urgenza di proporre la lettura di una mia poesia: proposta accolta. La poesia che ho letto, “Antipsichiatria poetica”, ha dato luogo naturalmente, senza bisogno di un invito esplicito, da parte mia o di Fabio, a una breve ma intensa meditazione immaginale, che mi ha arricchito e toccato. Lorenza ha attirato l’attenzione sull’analogia tra l’immagine con la quale inizia la poesia e l’immagine rappresentata dal’opera figurativa “Charlie non fa il surf”, che campeggiava sulla copertina del nostro quaderno immaginale.

La sera abbiamo visto, su proposta di Fabio, il film “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, tratto dall’omonimo romanzo di Kundera: un film molto lungo e ricco di motivi immaginali.
La mattina di domenica ci siamo dedicati a quest’opera. Rimaneva poco tempo e la mia richiesta di trovare il tempo per esplorare un’opera letteraria ha trovato un’inattesa e originale risposta in Mario, che sincronicamente, aprendo a caso le pagine di un suo libro, di una poetessa contemporanea, Nicoletta Bidoia, ci ha letto tre poesie, che abbiamo riconosciuto come la voce dei tre protagonisti del film. Abbiamo accolto questa lettura come conclusione della fase di restituzione.

In questo contesto l’entrata nel gruppo di Vito, senza precedenti esperienze immaginali ma con esperienze di altro tipo, culturalmente affini, è stato avvertito come un fattore di arricchimento, con un suo contributo di immagini e riflessioni.

È stato un weekend che, pur partendo dalla struttura formativa appresa nei residenziali a Verbania, grazie all’estrema flessibilità e versatilità dello stile di conduzione di Fabio (che personalmente ho apprezzato) si è svolto all’insegna di una sperimentazione, fertile di motivi di riflessione. Mi viene da dire: un workshop guidato, più che da un programma predefinito (e in effetti mai definito), dalla persona del conduttore (che ha lasciato molto spazio: una conduzione … taoista…) o dalle opere scelte (alla fine abbiamo trattato opere diverse, da quelle proposte all’inizio), dalle immagini stesse; da immagini trasversali rispetto alle opere e anche alla tipologia di opera (testo letterario, pittura, film); immagini che esondavano da un’opera all’altra, manifestando in diverse occasioni il proprio potenziale di sincronicità e portandoci a esplorare una linea di ricerca, che a mio avviso rientra nella tradizione immaginale, quella dell’amplificazione di junghiana memoria.

Un weekend a tratti caotico e dispersivo, in cui abbiamo sperimentato anche qualche momento di smarrimento: quando abbiamo avvertito il rischio della dispersività, dell’interpretazione concettualizzante, ci ha soccorso una capacità di autoregolazione che ci ha fatto toccare con mano la nostra maturazione non solo nel livello di apprendimento immaginale, ma anche come gruppo, come rispetto reciproco e intensità di relazione; quando stavamo perdendo il filo, ci ha soccorso … la sincronicità.

Quanto è accaduto nel Monferrato, per la sua destrutturazione, imprevedibilità, per le caratteristiche particolari del gruppo di persone in cui è nato, non può certo essere proposto come qualcosa da replicare in altri contesti. Ma sono tornato a casa con un senso di libertà, apertura e fiducia nelle immagini, arricchito da spunti e riflessioni di portata più generale. In particolare, restano aperte alcune questioni di metodo, rispetto alle quali personalmente non ho una risposta: le sottopongo ai compagni di viaggio immaginale e ai nostri docenti.
  • Come incoraggiare una sperimentazione, che può dare vitalità all’esperienza immaginale? come farlo senza  rinunciare al valore di una struttura, di cui abbiamo compreso a pieno il valore proprio nei momento in cui più l’abbiamo persa di vista? Non parlo solo delle regole ma anche e soprattutto dei vincoli temporali, ai quali non abbiamo dedicato sufficiente attenzione ... E in che misura la struttura può nascere, al di là del programma e della metodologia, dalle immagini stesse, dalla loro struttura sottostante?
  • Quale può essere il valore, la funzione di una forma di introduzione alla radura più legata alla corporeità, al sentire e all’espressività del corpo, come quella che abbiamo sperimentato sabato?
  • L’esercizio delle amplificazione delle immagini, come lo intende Jung, può entrare nel metodo classico di conduzione dell’esperienza immaginale, come definito da Paolo Mottana? In particolare, potrebbe entrare nella fase finale della restituzione? E/o potrebbe essere utile per un diverso percorso di esplorazione immaginale che parta da specifiche tematiche e non dalle opere? Che cioè conduca dai temi alle opere pertinenti e non viceversa?
  • Personalmente ho trovato che in questo nostro weekend la restituzione attraverso altre immagini, in particolare la restituzione di un film attraverso la lettura di tre brevi testi poetici o la restituzione della mia poesia mostrando un’opera figurativa, sia stata più pregnante dell’esercizio consueto di re-titolazione. A questo proposito, quali altri mezzi di restituzione, meno concettuali e più espressivi rispetto alla titolazione, si possono immaginare? Ad es. gesti, danze, canti, brevi esercizi di scrittura creativa?
  • Se ora chiudo gli occhi, ciò che vedo non sono le immagini di cui abbiamo parlato, sono i volti appassionati, commossi dei miei compagni di immaginazione. Le immagini hanno bisogno di spazio, ma non nascono in uno spazio vuoto: nascono da concreti soggetti umani. In che modo il gruppo è una risorsa, un terreno da coltivare per le immagini? In che misura l'alchimia delle relazioni può contribuire al buon esito di un’esperienza immaginale e influire sulle immagini che sorgono? Può avere senso dedicare una cura specifica, nella "radura" immaginale, alle relazioni tra i partecipanti, alle loro dinamiche, nonché a quanto accade internamente ai singoli individui?